Sardegna? L'eccezione Pd-5s sempre sconfitti da alleati alle elezioni

Ora si guarda con terrore alla Basilicata. Sul nome ancora non c'è accordo. E si teme il caos

Sardegna? L'eccezione Pd-5s sempre sconfitti da alleati alle elezioni
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«Uniti si vince», ma anche no.

In casa Pd si fanno e rifanno i conti, si studiano i flussi elettorali, si proiettano sul piano nazionale. Il risultato è univoco: il «vento» non è per il momento cambiato, come invece proclamavano, percorrendo l'Abruzzo, i leader del «campo largo» dopo l'inaspettato successo in Sardegna. Anzi: la Sardegna va derubricata a «puro colpo di c...», come sintetizza brutalmente un dirigente dem. Ossia: la vittoria, per una manciata di voti, della candidata di Giuseppe Conte nell'isola sarebbe dovuta solo agli errori del campo avverso (la forzatura di Giorgia Meloni sul «suo» sindaco di Cagliari, con conseguente scontro nella coalizione) e all'arcana gabola del voto disgiunto, e non a un effetto trascinamento di Alessandra Todde o a un mutamento degli umori elettorali verso i partiti di opposizione. «Ho sempre pensato che non bisognasse esaltarsi dopo la Sardegna, sbagliato pensare che si risolvano i problemi mettendo insieme tutti gli anti-Meloni», nota Alessandro Alfieri.

E del resto la lunga teoria di sconfitte regionali della coalizione Pd-M5s, dal 2019 a ieri, dimostra che non c'è alcun effetto taumaturgico di quella combinazione elettorale: dall'Umbria alla Liguria, dalla Calabria alla Lombardia fino all'Abruzzo, passando per Friuli e Molise, si è perso sette volte. E vinto, per lo 0,4%, una sola, e per demeriti altrui. Ora si guarda con terrore alla Basilicata: mancano 10 giorni alla chiusura delle liste, e il Pd non ha ancora né un candidato (a parte quello imposto da Roberto Speranza ma rifiutato dai 5s, Angelo Chiorazzo) n~ una coalizione. La trattativa era stata avocata a Roma da Conte e Schlein. Ai dirigenti locali era stato assicurato, due giorni fa, che si era trovato un nome «di alto profilo» e su cui tutti, incluso Chiorazzo, potevano convergere e che sarebbe stato annunciato domenica. Ma ieri mattina, dopo il risultato abruzzese, il nome misterioso era ancora perso nelle nebbie: «Ci ha ripensato, vista la sconfitta», era la versione che girava tra i dem. Ammesso, cosa cui non tutti credono, che il nome ci fosse. I 5s, del resto, fanno trapelare che se il candidato non è loro preferiscono andare da soli: dal «campo largo» al «campo dei miracoli» di Pinocchio.

Certo, al Nazareno sono comunque soddisfatti: «Abbiamo riaperto la partita», dice Elly Schlein. Che può soprattutto rivendicare il netto primato del Pd (20%) nella coalizione, e il recupero rispetto alle ultime politiche (16,6%). Ma questo successo ha le sue conseguenze. Intanto interno, perché l'ala moderata dei dem chiede alla segretaria di sottrarsi alla soggezione ideologica verso i grillini e il loro capo: «Per essere credibili dobbiamo valorizzare ciò che unisce, ma non nascondere ciò che ci divide e deve essere affrontato. La politica non è aritmetica», avverte Lorenzo Guerini. «I 5s devono riconoscere la funzione guida del Pd», è iil messaggio inviato alla segretaria da Alfieri.

E poi anche all'esterno: «Insistere sull'unità premia», rivendica Arturo Scotto. Premia il Pd, per l'appunto, a scapito dell'alleato principale: un pezzo dei voti di M5s, precipitato dal 24% delle precedenti regionali al 7% (persino meno di Salvini) sono stati fagocitati dal Pd.

E ora i dem temono contraccolpi da parte di Giuseppe Conte: da che parte si butterà il capo grillino, per evitare di dissanguato elettoralmente da sinistra? Persino la fotogenica «sardina» Jasmine Cristallo, imbarcata da Schlein nel Pd e in ansiosa attesa di promozione da parte della leader, ora lo irride: «La cura Schlein funziona e testimonia la sua grande credibilità. Mentre M5s perde il 65% dei consensi: il populismo è sconfitto». Parola di sardina.

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