La testa incassata nelle spalle, le maniche del cappotto sempre troppo lunghe, come fosse rattrappito su se stesso. Filava via basso, ieri mattina, lo sguardo di Nicolas Paul Stéphane Sarközy de Nagy-Bocsa, meglio conosciuto come Nicolas Sarkozy . Un Napoleone sulla via per l'Elba, sembrava. Niente a che vedere con lo spaccone che solo l'altro ieri offriva alle telecamere il volto sussiegoso e altero di chi è abituato a non chiedere mai. Tre giorni dopo il suo successo alle regionali, ecco il pesce d'aprile della magistratura, inteso a rovinargli la festa. Affari e potere. Soldi e imbrogli. Le tentazioni di sempre, per il vispo, insaziabile ungherese (di sangue) che se ci fosse un posto di presidente della Galassia, oltre che dei francesi, punterebbe anche a quello.
I giudici hanno ascoltato Sarkozy come «testimone assistito» nel caso dell'allegro superamento (oltre il limite previsto dalla legge) delle spese elettorali sostenute durante la campagna elettorale del 2012. Spese che il molto disinvolto ex presidente della Repubblica avrebbe poi scaricato sul suo partito, l'Ump, affondandolo finanziariamente come in una allegra battaglia navale. Un attacco, quello della magistratura, giocato su due fronti. Prima la convocazione per Sarkozy. Poi il fermo, a Nanterre, alle porte di Parigi, di tre fedelissimi del presidente. L'affaire porta il nome della «Bygmalion», società organizzatrice di meeting e comizi, che sempre durante la campagna 2012 -elezioni poi vinte dall'incolore Hollande, quello che Sarkozy, negandogli dignità di persona, chiama "la cosa"- avrebbe emesso fatture false per servizi fittizi a favore dell'Ump.
Durante quella campagna elettorale, stabilirono i cacciatori di pulci della Corte dei Conti, Sarko aveva superato regalmente il livello massimo previsto dalla legge per ogni candidato (22,5 milioni). Una valanga di euro impossibili da rendicontare altrimenti che aveva fatto scarrocciare l'Ump, il partito conservatore, verso la bancarotta su un'onda anomala di 70 milioni di debiti. A Sarkozy e ai suoi non era rimasto che mettersi simbolicamente davanti all'uscio del partito col cappello in mano, rifacendosi al buon cuore dei cittadini e dei simpatizzanti. Una colletta che gli avversari di Sarkozy avevano ribattezzato «Sarkothon», come la grande raccolta che anche in Francia, una volta all'anno, occupa militarmente gli spazi Tv.
All'ex presidente, riconosciuto responsabile della furbata, era stata imposta una multa personale di 400mila euro. Ma anche quella («Accà nisciuno è fesso», si sarà detto, come Totò) era stata elegantemente "girata" al partito. E non si fa, dicono i giudici.
I denari versati alla Bygmalion per quell'infausta campagna ammontano a 18 milioni e mezzo. Ma c'è sempre qualche testa di turco, in questi casi, da sacrificare sull'altare della Giustizia. I gonzi finiti in guardina stavolta sono tre: Guillaume Lambert, responsabile della campagna 2012 di Sarko, oggi prefetto di Lozère; Philippe Briand, deputato Ump, tesoriere della campagna incriminata. E l'avvocato del partito Philippe Blanchetier.
Ma questa è solo la coda della cometa giudiziaria che porta il suo nome. Pescando fior da fiore, tra un episodio di corruzione e l'altro, viene in mente la sentenza che nel 2008 fruttò al suo amico, l'imprenditore Bernard Tapie, un gruzzoletto di 400 milioni di euro. Pagati dal contribuente. O i contratti conclusi dall'Eliseo, naturalmente senza gara d'appalto, con una serie di istituti di sondaggio.
Per non dire dei finanziamenti per la campagna elettorale del 2007 dell'allora amico Gheddafi, poi silenziato a suon di bombe per il suo atteggiamento troppo filo italiano. Vittima dei «magistrati di sinistra», come dice lui? Può darsi, come no. Ma di questo passo, monsieur le vedrà col cannocchiale, le presidenziali del 2017.
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