Dopo due giorni di polemiche, le reazioni indignate degli Usa e la severa presa di distanza della stessa Arma dei carabinieri, che ha aperto un'indagine interna, anche il premier Conte si sveglia.
E nottetempo, dopo la visita alla camera ardente del militare ucciso, il premier usa il solito messaggio via Facebook per dire la sua e condannare con parole assai severe la circolazione della foto dell'americano indagato per la morte del carabiniere Cerciello, bendato e ammanettato durante gli interrogatori successivi al fermo. E lo fa smentendo implicitamente le posizioni dei suoi vice, e chiamando in causa (sempre senza nominarlo) il ministro dell'Interno Matteo Salvini per lo scarso contrasto alla criminalità legata al commercio della droga: «In questi momenti - dice - chi ha compiti di responsabilità fa bene a interrogarsi, in modo serio e responsabile, su quali siano le modalità più idonee a intensificare il contrasto al traffico e allo spaccio di stupefacenti da cui nasce questo delitto». Un passaggio velenoso, camuffato dietro la vaghezza delle formule.
Quanto alla foto incriminata dell'americano bendato e imbavagliato, la condanna di Conte è netta: «Bene ha fatto l'Arma a individuare il responsabile di questo improprio trattamento e a disporre il suo immediato trasferimento. Chiariamolo bene: ferme restando le verifiche di competenza della magistratura, riservare quel trattamento a una persona privata della libertà non risponde ai nostri principi e valori giuridici, anzi configura gli estremi di un reato o, forse, di due reati». Poi il premier aggiunge: «Parimenti censurabile è il comportamento di chi ha diffuso la foto via social in spregio delle più elementari regole sulla tutela della privacy». E visto che a diffondere la foto sui social è stato anche il ministro dell'Interno, la bacchettata appare assai mirata.
Il premier sembra anche tirare le redini a chi vuole «cavalcare l'onda emotiva» per alimentare allarme e chiedere «pene esemplari», strizzando l'occhio al boia: «L'Italia è uno Stato di diritto - ricorda Conte - È la culla della civiltà giuridica dai tempi dell'antico diritto romano. Abbiamo princìpi e valori consolidati: evitiamo di cavalcare l'onda delle reazioni emotive tenuto anche conto che la nostra legislazione, in caso di omicidio volontario, contempla già l'ergastolo».
È Luigi Di Maio, per conto di Salvini, a polemizzare a distanza con il presidente del Consiglio: la foto non sarà «bella», ma chi - come Conte, è il messaggio implicito - la critica e ne stigmatizza gli autori e la circolazione vuole «buttarla in caciara»: «Un nostro servitore dello Stato è stato ammazzato, parlare quasi più del ragazzo bendato che del nostro carabiniere ucciso significa buttarla in caciara. Adesso si vada avanti e spero veramente in una pena massima che possa essere l'ergastolo per questa gente».
Si fa sentire anche l'inneffabile Danilo Toninelli, che forse per distrarsi dai dolori della Tav si butta sull'argomento, cercando di collocarsi in posizione mediana: certo «preoccupa il bendaggio» (bendaggio?) dell'interrogato, riflette a voce alta, perché «si può rischiare di andare a inquinare tutte le indagini necessarie ad avere la certezza del colpevole».
Poi il ministro, in un italiano piuttosto incerto, lancia il suo monito: «Ma non compariamo due fatti diversi e non comparabili, come l'uccisione di un carabiniere e il fatto di un interrogatorio fatto in maniera evidentemente sbagliata come la verifica all'interno dell'arma sta verificando». Al termine dell'ingarbugliato ragionamento, arriva l'appello: in ogni caso, dice accorato Toninelli, «dobbiamo stare uniti». Non è chiaro con chi, ma fa niente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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