Lazio, Basilicata, ma anche Sardegna, Piemonte, Sicilia e Puglia. Sono queste le regioni che il ministero dell'Ambiente ha identificato per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi previsto dalla Carta Nazionale delle Aree Idonee (Cnai) elaborata dalla Sogin, la società che si occupa di smantellare le centrali e gestire delle scorie nucleari: sono 51 siti scelti per lo stoccaggio.
In Lazio e Basilicata le zone proposte sono 35, in particolare tra Viterbo (21) e Matera (10). Le altre strutture dovrebbero sorgere nelle province di Alessandria, Bari, Oristano, Sud Sardegna, Taranto, Potenza e Trapani. Si accorcia così un iter sbloccato nel 2010, quando il parlamento approvò il decreto legislativo sulla disciplina dei sistemi di stoccaggio, ordinando la costruzione di un deposito nazionale e di un parco tecnologico per la ricerca. Secondo le stime Sogin, il cantiere dovrebbe durare quattro anni e creare più di 4mila posti di lavoro. Oggi l'Italia è uno dei pochi Paesi europei senza un centro permanente di smaltimento. Tutto il materiale da eliminare nel 2019 circa 31mila metri cubi di rifiuti finisce in 24 impianti provvisori che ricevono dallo Stato un contributo rinnovabile ogni anno, ma inidonei allo smaltimento definitivo. Per questo motivo nel 2020 la Commissione europea ha attivato una procedura di infrazione nei confronti del governo italiano. I luoghi preposti potrebbero aumentare: il Ministero ha dato 30 giorni di tempo agli enti che vorranno presentare la propria autocandidatura.
Entro il 2024 potrebbe completarsi questa fase, ma resta da superare l'opposizione della politica e delle amministrazioni locali. Sulle barricate il Movimento 5 Stelle.
«Trapani e la Sicilia non sono e non saranno mai la discarica del Paese», ha dichiarato la deputata regionale grillina Cristina Ciminnisi. «Le scorie nucleari non le vogliamo nella nostra isola», ha commentato invece la parlamentare sarda dei Verdi, Francesca Ghirra.
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