Che ci fa uno scannacristiani come Gaspare Mutolo in via D'Amelio, a commemorare Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta? Cosa ci fa nelle foto ricordo insieme a Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ammazzato da Cosa Nostra? Lui, Mutolo: uno di cui la madre di un bambino ammazzato dalla mafia dice, dopo averlo incrociato sul luogo della strage, «ricordiamoci che lui e i suoi degni compari brindarono con champagne e caviale il 19 luglio del 1992»?
Da tre giorni, le foto di Mutolo - sicario dei Corleonesi, pentitosi non per angosce interiori ma perchè la nuova vittima doveva essere lui - fanno il giro del web. A postarle è lui stesso, l'assassino-collaborante, sulla sua pagina Facebook intitolata «Gaspare Mutolo il Pittore» (vecchia vanteria, sosteneva persino che i quadri dipinti in cella dal boss Luciano Liggio in realtà li aveva dipinti lui). E queste foto, l'uomo di Cosa Nostra affianco a chi piange le vittime di Cosa Nostra, il sicario di Riina affianco al fratello di Borsellino, sollevano indignazione e domande. Mutolo, ribatte secco: «Io sono stato invitato da Salvatore Borsellino e ho accolto molto volentieri il suo invito. Ero felice». E ancora: «Quello che io faccio è un esempio».
Questione di punti di vista. A non essere tanto d'accordo, per esempio, è la madre che se l'è trovato davanti in via D'Amelio e racconta di essere stata insultata da lui. Si chiama Graziella Accetta, Cosa Nostra le ammazzò il figlio Claudio quando aveva appena undici anni perchè aveva assistito a un delitto, gli spararono in mezzo agli occhi. Graziella incrocia lo sguardo di Mutolo, sa che lui ha sempre cercato di spacciare un'altra storia, dire che il ragazzino era stato vittima solo di una storia di corna. Il pentito e la madre si guardano negli occhi. «Poi lui mi ha detto: leccaculo. Per tre volte». Dopo Graziella, Mutolo incrocia il parente di un'altra vittima di mafia: è il figlio di Giuseppe La Franca, un brav'uomo ammazzato da Cosa Nostra nel 1997 per avere rifiutato di cedergli un podere. Stavolta a Mutolo va peggio, l'uomo lo caccia via, «tu qua non ci puoi stare».
Eppure il killer pentito continua ad aggirarsi per via D'Amelio, continua a postare foto. C'è, evidentemente, chi in quella piazza considera giusta e utile la presenza di Mutolo. Il motivo è facile da intuire: questo palermitano di ottantatrè anni non è stato solo uno dei primi a saltare il fosso, arrendendosi allo Stato sulla scia di Tommaso Buscetta. É stato anche uno dei primi «collaboranti» a portare linfa vitale alle piste investigative sulla zona grigia tra mafia e Stato, accusando non solo uomini d'onore ma anche rappresentanti delle istituzioni. E questo ne ha fatto quasi un'icona per i movimenti che non si accontentano, per spiegare le stragi del 1992 e 1993, delle condanne inflitte a Totò Riina e alla Cupola.
Peccato che strada facendo non sempre la credibilità di Mutolo sia uscita incolume dai processi. Lui stesso ha ammesso di avere detto più di una bugia, autoaccusandosi - per aumentare il suo prestigio - di delitti mai commessi. Ma il suo clou lo raggiunse accusando un giovane procuratore generale, Mimmo Signorino, di essere colluso con Cosa Nostra.
Solo otto anni dopo il presidente della Corte d'assise di Palermo Alfonso Giordano, criticò l'abitudine di credere ai pentiti senza riscontri. Ma ormai era tardi. Dopo che le accuse di Mutolo erano finite sui giornali, Signorino replicò di avere indagato senza clemenza su Riina. Poi si chiuse in casa e si sparò.
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