C’è un immobile in via Napoleone III che fa le veci di “ambasciata italiana in Cina”. È un piccolo puntino, una bandierina tricolore che si perde nella galassia di negozi all’ingrosso, parrucchieri, ristoranti e le più disparate attività gestite da stranieri. È occupato dal dicembre del 2003 ed è uno dei pochi (pochissimi) centri sociali di destra della Capitale. Non uno spazio non conforme tout court, ma il quartier generale di CasaPound Italia che, tra quelle quattro mura, si è trasformata da movimento in partito politico.
Oggi qualcuno dice che non resterà lì a lungo. Ci sono tre priorità nel mirino della prefettura: una di queste è proprio CasaPound. Eppure, nel 2016, l’allora commissario straordinario di Roma Paolo Tronca aveva stilato una lunga lista di 74 immobili da sgomberare di cui 16 “entro la fine dell’anno”. Nella lista complessiva c’è anche quello di via Napoleone III che invece non figura in quella ristretta. Insomma, nemmeno due anni fa lo sgombero di quella palazzina di proprietà del demanio non era prioritario. Qualcosa dev’esser cambiato. Nel frattempo CasaPound ha aperto 108 sedi, incassato un 9 per cento ad Ostia e piazzato amministratori qui e lì lungo la Penisola. È cresciuta. E non sfugge il tempismo con cui è arrivata la notizia, a poco più di un mese dalle elezioni con cui le “tartarughe frecciate” sperano di entrare in Parlamento e alla Regione Lazio.
Il vicepresidente Simone Di Stefano è il candidato premier. Riguardo a questa vicenda non ha dubbi: “La prefettura ha rimaneggiato quella lista per dare un contentino all’elettorato del Partito Democratico”. Un elettorato su cui la “vulgata antifascista esercita sempre il suo fascino”. Ma non c’è di che preoccuparsi, per Di Stefano si tratta solo di “una boutade elettorale”. È il segno “di una sinistra povera di argomenti a cui non resta che portare avanti battaglie di retroguardia”. Nessuno stupore quindi. Secondo il candidato premier di CasaPound: “È tutto perfettamente coerente con le mosse di Fiano e della Boldrini, gente che ha scommesso sull’antifascismo per farsi strada in politica”.
Anche Virginia Raggi ha la sua fetta di responsabilità. Sulla convocazione del tavolo metropolitano che si occuperà anche dello sgombero di CasaPound c’è pure la sua firma. È in campagna elettorale anche lei, tenta di ridimensionare l’impatto negativo che il suo governo rischia di avere sul voto. “La Raggi – taglia corto Di Stefano – è una professionista del benaltrismo, una maestra nel distogliere l’attenzione dalla sua incapacità di amministrate la Capitale”. E lo sgombero di CasaPound è la foglia di fico perfetta “dietro cui nascondere la sua incompetenza”. Come quando, per mostrare il pugno di ferro con gli abusivi, mise i sigilli alla storica sezione della destra romana di Colle Oppio sollevando un vespaio di polemiche. Anche quello era il punto di riferimento politico di un mondo, quello degli ex di Alleanza Nazionale, e un luogo di aggregazione per il quartiere.
Per il momento, stando alle indiscrezioni trapelate da Palazzo Valentini, “non sono all’ordine del giorno azioni di forza”. Ma da via Napoleone III il messaggio è chiaro: se le voci sullo sgombero non fossero solo propaganda dell’ultim’ora “resisteremo con le unghie e con i denti”. Perché “qui dentro ci abitano delle persone in emergenza abitativa, famiglie, bambini e pensionati”. Sono tutti italiani. Quegli inquilini rappresentano una promessa, il punto di partenza di un progetto che si è via via strutturato come alternativa politica al grido di “prima gli italiani”. E “qualora l’amministrazione pretenda di mandarci via senza offrire delle soluzioni alternative degne la risposta sarà che non ce ne andremo”. Il prezzo da pagare non conta.
A settembre 2016 i militanti di via Napoleone III hanno già dato prova della loro determinazione. Proprio in quella occasione Di Stefano è finito in manette per aver cercato di impedire che due famiglie venissero sfrattate da un immobile di proprietà del Comune.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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