"Si doveva osare di più. L'appello va limitato anche per i reati gravi"

Il giurista: "Se tre giudici assolvono in primo grado il ragionevole dubbio è sempre sancito"

"Si doveva osare di più. L'appello va limitato anche per i reati gravi"
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Si potrebbe immaginare che Gaetano Pecorella sia soddisfatto, nel vedere una norma di civiltà che lui aveva fatto varare diciassette anni fa, affossata allora dalla Corte Costituzionale, tornare oggi nell'agenda di governo. E invece no. Perché il vecchio, battagliero avvocato dice: «Così non basta, si poteva osare di più. Anzi, si doveva».

La norma è quella che nel 2006 prevedeva l'impossibilità per i pm di presentare appello contro le sentenze di assoluzione. Le procure insorsero e l'anno dopo la Corte Costituzionale la dichiarò illegittima.

Ora la norma fa parte del disegno del ministro Carlo Nordio. Perchè non è contento?

«Perchè lo spirito è apprezzabile, ma il contenuto no. Per quel che ho letto, ad essere inappellabili sarebbero solo le assoluzioni per i reati meno gravi. Che senso ha? Come si può ritenere che l'imputato di un reato grave abbia meno garanzie, quando è proprio quello che rischia di più in caso di condanna? Il concetto è semplice e vale per tutti: se tre giudici in primo grado hanno assolto, da quel momento il ragionevole dubbio" è sancito per sempre».

Lei dice: Nordio deve osare di più. Ma non rischierebbe di andare a sbattere anche lui contro la bocciatura della Corte Costituzionale, come accadde ai suoi tempi?

«I tempi sono cambiati, perchè è cambiata l'influenza dei magistrati sulla Consulta. Quando la mia legge venne portata all'esame della Corte Costituzionale, il relatore fu Giovanni Maria Flick, che era assai vicino alla magistratura, essendo stato lui stesso magistrato e avendo fatto il pubblico ministero. Ora la Corte è cambiata, tanto che la proposta di rendere inappellabile tutte le assoluzioni era contenuta nel progetto di riforma firmato da Giorgio Lattanzi, che è un grande giurista ed è stato presidente della Corte».

Intanto l'Associazione nazionale magistrati insorge. E attacca anche un altro provvedimento annunciato da Nordio: a decidere sul carcere preventivo non sarà più un solo giudice ma un tribunale composto da tre magistrati. In questo modo, dice il presidente dell'Anm, si paralizza la macchina della giustizia.

«A me preoccupa un altro aspetto, una conseguenza indiretta della innovazione. Se durante le indagini preliminari un indagato viene messo in carcere su decisione di tre magistrati che ritengono consistenti le prove a suo carico, quando poi si arriva al processo cosa succede? Magari a decidere è un unico giudice, che per assolvere l'imputato dovrebbe in qualche modo sconfessare l'operato dei colleghi che l'hanno preceduto. Il rischio a quel punto è che tutto si giochi nella fase preliminare, nello scontro sulla custodia in carcere, svuotando il processo che invece deve restare il cuore di tutto».

L'Anm si allea con i giornalisti per murare un altro passaggio chiave del progetto di Nordio: proibito pubblicare le intercettazioni che non sono contenute nei provvedimenti dei giudici.

«È l'eterno conflitto tra il diritto alla riservatezza e il diritto di cronaca.

Anche qui il ministro parte da un principio sacrosanto: il diritto dei cittadini a essere informati riguarda solo gli elementi rilevanti ai fini del processo penale, non è che siccome uno è indagato i suoi fatti privati devono diventare di dominio pubblico. Ma andrà a finire che i giudici metteranno, con la scusa di delineare la personalità dell'indagato, anche elementi irrilevanti ai fini del processo. Così tutto potrà essere pubblicato, e non cambierà niente».

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