Duecentoventinove persone di cui non si sa nulla. Nascoste chissà dove, probabilmente nei cunicoli di Gaza. Alcuni feriti, altri malati, molti minorenni. Tra loro anche un piccolo di 9 mesi. Duecentoventinove persone, non numeri. Ostaggi di Hamas, rapiti e usati anche come scudi umani. In attesa, loro e le loro famiglie, di una trattativa complessa, intricata che vede in campo attori differenti. Israele in primis ma soprattutto Egitto, Qatar e Croce rossa, oltre a Stati Uniti, Unione europea e anche Vaticano.
«C'è speranza che si arrivi «al rilascio di donne, bambini, anziani, feriti e malati, il prima possibile», ha detto il negoziatore israeliano Gershon Baskin aggiungendo che «il fatto che Israele stia aspettando significa che stanno valutando ogni possibilità per far uscire gli ostaggi dalla Striscia prima che le truppe entrino a Gaza». Ci sono stati «progressi significativi nei negoziati ma ci sono ancora delle questioni aperte che impongono cautela», ha spiegato una fonte diplomatica alla Cnn, sbilanciandosi al punto di dire che «abbiamo una svolta. Ci sono ancora problemi, ma i colloqui sono in corso e rimaniamo fiduciosi». Le trattative vanno avanti, tra alti e bassi, rabbia e nervosismo.
Centinaia di familiari degli ostaggi si sono radunati a Tel Aviv per protestare contro il premier Benyamin Netanyahu: «La nostra pazienza è finita: riportate indietro gli ostaggi, adesso!», dicono, chiedendo un incontro con il primo ministro, finora senza esito. Ma qualcosa si muove. Abu Hamid, il rappresentante della delegazione di Hamas che è andato in visita a Mosca, ha spiegato che il suo gruppo non potrà rilasciare gli ostaggi finché non verrà concordato un cessate il fuoco. Un punto chiave, ma non l'unico in campo. Da quanto si apprende Israele avrebbe fatto sapere ai mediatori del Qatar che stanno lavorando attivamente per la liberazione degli ostaggi, che sarebbero disposti a offrire contropartite ad Hamas, anche se ufficialmente il governo ha negato qualsiasi trattativa o men che meno concessione. C'è chi ipotizza uno scambio di prigionieri. Ma l'ipotesi più accreditata porterebbe a una tregua umanitaria per lasciare passare un ingente quantitativo di aiuti umanitari, avviare un dialogo «a bocce ferme», calmare in qualche modo le acque e placare i malumori, spesso guidati da interessi, di tutto il mondo arabo. Comunque, non un cessate il fuoco, ipotesi che non viene presa in considerazione da Israele anche per non permettere ad Hamas di riorganizzarsi. E, a quanto pare, nemmeno una fornitura di carburante richiesta ufficialmente per far funzionare gli ospedali e le attività commerciali che sono al collasso ma usata da Hamas come arma di ricatto. Non a caso l'esercito israeliano ha pubblicato la foto di dodici serbatoi di gasolio «nascosti» nella Striscia. Sicuramente un segnale verso un possibile dialogo arriva dall'operazione di terra che non è, per il momento, su larga scala.
Mentre il presidente francese Macron ha detto di aver parlato con Netanyahu e con l'emiro del Qatar, si sta muovendo anche la santa Sede. Il Papa è impegnato in prima persona e il segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, conferma l'intenzione del Pontefice di incontrare le famiglie dei rapiti. «Stiamo pensando a questo. La liberazione degli ostaggi e la crisi umanitaria di Gaza sono i due focus attorno ai quali si sta concentrando l'azione della Santa Sede, anche attraverso il Patriarcato latino di Gerusalemme», ha spiegato il porporato.
Parole, trattative, ipotesi.
Si lavora nell'ombra, come durante la Guerra Fredda. Con la differenza che qui le armi non sono soltanto una minaccia. E con duecentoventinove persone e le loro famiglie in attesa, tutto diventa drammaticamente complicato.
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