La crisi del sistema bancario italiano è giunta a un punto di svolta. A seconda degli esiti della ricapitalizzazione del Monte dei Paschi si apriranno scenari differenti per tutto il comparto del credito. Se interverrà lo Stato, si compirà un deciso passo indietro con un ritorno del pubblico nell'economia, ma i rischi di crollo sostanzialmente annullati. Se il mercato correrà in soccorso di Mps, si rinvierà il problema ai prossimi appuntamenti, a partire dal maxiaumento di capitale d 13 miliardi di Unicredit. Se, invece, si dovesse sperimentare un nuovo ricorso al bail in (come per Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara), a pagare saranno soprattutto i piccoli risparmiatori e si potrebbe profilare una pericolosa reazione a catena. Vediamo, tuttavia, come si articolano nel dettaglio questi tre scenari.
Il salvataggio pubblico
Il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, hanno autorizzato un aumento dell'indebitamento di 20 miliardi per un'operazione salvarisparmio. L'aumento del Monte ha più speranze di riuscire. Si tratta di una procedura «non standard» e quindi, oltre alle problematiche economico-politiche connesse all'intervento pubblico, ci sarebbe da battagliare con la Commissione Ue. In ogni caso, lo Stato organizzerebbe una sorta di Atlante da 15 miliardi con il quale intervenire nei casi più scottanti come Mps, Veneto Banca-PopVicenza e Carige. Queste quattro banche assorbirebbero circa la metà della dotazione del Fondo e una replica in Unicredit, in caso di difficoltà, sarebbe possibile. Va detto che un simile paracadute consentirebbe ai singoli istituti di non sottostare a condizioni capestro per la cessione dei crediti in sofferenza. Occorre ricordare che ai 200 miliardi di sofferenze delle banche italiane si aggiungono altri 160 miliardi di crediti dubbi che, se scaricati al 33% del nominale come nel caso di Mps, potrebbero creare ammanchi di patrimonio stimabili nel 2,5% del Pil italiano (circa 40 miliardi, secondo Pimco). La garanzia pubblica renderebbe il tutto meno traumatico.
La vittoria del mercato
Se la conversione dei bond subordinati dovesse portare nelle casse di Rocca Salimbeni almeno 1,5 miliardi e se si concretizzasse l'intervento del Fondo del Qatar per un miliardo, l'aumento di Mps sarebbe quasi riuscito. Si potrebbe procedere alla cessione dei 27 miliardi di sofferenze al 33% e sperare di ripartire, anche se i flussi di nuove sofferenze, anche se a ritmo ormai attenuato, potrebbero sempre rappresentare un problema. Questo implicherebbe che i rafforzamenti patrimoniali delle Popolari venete, di Carige e di Unicredit dovrebbero procedere in autonomia. E sempre in autonomia dovrebbero operare i gruppi di nuova costituzione (da Banco-Bpm alle nuove holding delle Bcc) se si dovessero fronteggiare emergenze. Il rischio di un mero rinvio del problema è significativo.
Il «bail in»
Se con la conversione in azioni gli obbligazionisti subordinati sono costretti a forti minusvalenze, con il bail in i loro investimenti sarebbero azzerati. In questo caso sarebbero potenzialmente a rischio circa 30 miliardi di bond detenuti dalle famiglie italiane. Al mercato converrebbe scommettere contro Carige, contro PopVicenza, Veneto Banca e financo Unicredit.
Il bail in, infatti, consente l'intervento dello Stato che ricapitalizzerebbe gli istituti coinvolti trasformandoli in good banks (banche buone), mentre le loro sofferenze potrebbero essere cedute a buon mercato. Il sistema, però, rischierebbe di restare ingessato sia per la congiuntura negativa in quanto ogni difficoltà comporterebbe una penalizzazione.
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