Milano. «Vostra Silvia». Si conclude così (e non con il nome post conversione all'Islam, Aisha) il post apparso ieri mattina sul profilo Facebook di Silvia Romano, la 24enne cooperante milanese rilasciata in Somalia la scorsa settimana dopo un sequestro durato oltre 500 giorni. La ragazza usa toni particolarmente distesi ed esterna tutta la sua gratitudine prima agli amici che le sono stati «vicini con il cuore», quindi a Dio (e non, va sottolineato, ad Allah) per averle fatto ritrovare i suoi «cari ancora in piedi». Infine, forse abilmente consigliata, invita caldamente chi la legge (gli amici, il profilo è riservato) a non arrabbiarsi per difenderla. E prima di terminare con un «godiamoci questo momento insieme», fa un accenno indiretto ma molto significativo al timore che la sua conversione alla nuova fede possa creare contrasti: «(...) per me - scrive la Romano - contava solo riabbracciare le persone più importanti della mia vita, sentire ancora il loro calore e dirgli quanto le amassi, nonostante il mio vestito».
Conscia di trovarsi al centro di una campagna d'odio sia per aver abbracciato una nuova religione che per l'entità del riscatto pagato per la sua liberazione, la cooperante sta collaborando con gli investigatori del Ros e in particolare con il pm Alberto Nobili. È a lui che Silvia invia direttamente gli screenshot dei messaggi minatori e di tutti quelli comunque particolarmente inquietanti rivolti alla sua persona non appena li trova online, magari su siti appositamente «dedicati». Al momento però in prefettura la possibilità di fornire alla ragazza una tutela (la scorta) e che nei giorni scorsi per alcuni era praticamente una certezza, non è stata ancora presa in considerazione. Al momento davanti all'abitazione della Romano, in via Casoretto 1, c'è un normale presidio di sicurezza. Non si esclude poi che il prefetto Renato Saccone, fedele al suo principio «una scorta non si annuncia ma si fa» (come aveva dichiarato a suo tempo in merito alla tutela concessa alla senatrice Liliana Segre, ndr) ritenga, insieme alle autorità preposte e qualora si dovesse decidere in questa direzione, di dover agire nel massimo riserbo, almeno per i primi tempi.
Sarebbe arduo infatti, qualora venisse preso, celare a lungo un tale provvedimento vista l'attenzione mediatica che ancora viene riservata alla persona di Silvia Romano. La madre della ragazza, Francesca Fumagalli, ha già avuto modo di mostrare quanto mal tolleri le luci dei riflettori puntati sulla figlia e sulla vita della sua famiglia dopo il ritorno a casa della ragazza. Da giorni la donna, quando esce da casa, non disdegna atteggiamenti d'insofferenza e biasimo verso i giornalisti che, appostati sotto casa, hanno cercato invano di strapparle una dichiarazione. Ieri la donna davanti ai mazzi di fiori lasciati per Silvia sul portone all'ingresso dello stabile, dopo aver raccolto solo i biglietti è sbottata dichiarando: «Non sono interessata ai fiori, qui non ci sono morti». Ed è rientrata in casa.
E sempre a proposito del condominio di via Casoretto non ci sono novità (e probabilmente non ce ne saranno mai) riguardo ai cocci - quel che restava di una piccola bottiglia di vetro - rinvenuti mercoledì mattina sul davanzale di una finestra da una vicina della cooperante liberata. La polizia era corsa sul posto quando la famiglia residente al piano rialzato (Silvia Romano abita al secondo) aveva chiamato per segnalare l'insolito ritrovamento.
Il primo intervento era stato fatto dalle volanti, quindi sul posto era intervenuta la polizia scientifica per repertare, come da protocollo, le prove di quello che poteva essere un gesto dimostrativo nei confronti della cooperante. Episodio ancora non provato e che gli inquirenti definiscono «ininfluente» sul fronte dell'inchiesta aperta dalla Procura per minacce aggravate.
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