Uno Stato sempre più assistenzialista è quello immaginato dal Movimento 5 stelle, da una parte del Pd e dal microcosmo di ultrasinistra. Una visione che cozza con l'impostazione liberale che finora ha contraddistinto l'esecutivo di Mario Draghi. Ma, per quanto «tecnico», il premier è ben conscio che non si possono penalizzare unidirezionalmente i componenti della propria maggioranza. E così da qualche giorno in mabito parlamentare è ripartito il tam tam pentastellato sul rafforzamento del reddito di cittadinanza in vista della legge di Bilancio 2022.
L'obiettivo, secondo quanto denunciato dal Sole 24 Ore, sarebbe quello di destinare altri 2 miliardi alla misura di bandiera dei Cinque stelle che con la manovra 2021 già è stata rimpinguata con uno stanziamento di 4 miliardi di euro aggiuntivi fino al 2029 e da un altro miliardo previsto dal dl Sostegni. Se passasse una simile proposta, la spesa per il reddito grillino salirebbe a circa 40 miliardi dalla sua introduzione alla fine del decennio.
Il tentativo pentastellato e delle correnti piddine più contigue si fonda sui recenti dati Istat sulla povertà in Italia. Nel 2020 la povertà assoluta ha raggiunto il record storico a causa della pandemia, interessando poco più di due milioni di famiglie (7,7% del totale) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4%). Sebbene l'incidenza sia più alta al sud (9,4%), la crescita maggiore si è registrata nel Nord (al 7,6% dal 5,8% del 2019). Dunque, un ampliamento del reddito di cittadinanza dovrebbe tenere conto dei trend in atto altrimenti rischierebbe di riproporsi la situazione attuale. A maggio, infatti, in Campania le famiglie che hanno usufruito del reddito sono state 275.834, un numero che sfiora i 281.786 dell'intero Settentrione (a Napoli i percettori sono superiori alla somma dei beneficiari di Lombardia e Piemonte).
Vi sono anche due altri tipi di problematiche. Il primo riguarda l'onnipervasività di un sussidio che ha fallito il proprio obiettivo di aiutare le persone disoccupate a trovare un lavoro («Non trasformiamo in assistenza eterna un sussidio che pagano tutti i cittadini», ha detto ieri Matteo Salvini). I secondo riguarda una spesa che finisce per restringere le altre strade del welfare a partire da quelle per il sostegno alle famiglie e alla natalità (vedi articolo sotto). Ieri nel corso delle audizioni in commissione Lavoro al Senato sono state illustrate le caratteristiche del nuovo assegno unico per le famiglie che, a partire dal 2022 sostituirà le attuali detrazioni per figli a carico e gli assegni familiari, e che per il secondo semestre di quest'anno sarà destinato in via sperimentale a disoccupati e autonomi. «La misura ha carattere di universalità, però è progressiva, cioè diminuisce man mano che aumenta il reddito», ha spiegato il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, ricordando che lo stanziamento comprenderà le attuali spese in sussidi familiari che «raccolgono circa 20 miliardi di euro all'anno».
Secondo il presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo, « il 5,5% delle famiglie italiane può beneficiare dell'assegno temporaneo e il 15,8% della maggiorazione degli assegni familiari, ma entrambe le misure risultano molto progressive rispetto al reddito delle famiglie».
Insomma, al crescere delle entrate si restringeranno i benefici con qualche legittima preoccupazione per il cosiddetto «ceto medio» (inoltre i 40mila euro lordi di reddito l'anno), penalizzato non solo dallo scalone dell'aliquota Irpef dal 27 al 38% sopra i 28mila euro, ma anche da un assegno unico che potrebbe rivelarsi striminzito.
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