Sinistra, sogno folle: dimissioni di Meloni poi governo tecnico

Le fantasie di "Repubblica": dalla morte del Cav e da uno stop dell'Ue sul Pnrr la spinta per buttare giù Giorgia

Sinistra, sogno folle: dimissioni di Meloni poi governo tecnico
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E se fosse proprio Silvio Berlusconi, e la sua creatura politica di Forza Italia, a fare al centrosinistra il regalo postumo di una crisi del governo Meloni?

Ad affacciare l'ipotesi, ieri, era il quotidiano La Repubblica, che analizzava i possibili effetti di una implosione di Fi tra ala governista filo-Meloni e ala ribelle che potrebbe sottrarre un pacchetto di voti cruciali in Senato. Con conseguenze potenzialmente pesanti per l'attuale esecutivo: se l'Italia fallisse gli obiettivi del Pnrr, da Bruxelles potrebbe partire la spinta per un governo «tecnico» di emergenza per salvare i finanziamenti europei e il ruolo di Roma nella Ue. Gli azzurri, orfani di Berlusconi, potrebbero essere pronti ad appoggiarlo, insieme a parte del centrosinistra, pur di evitare nuove elezioni. Perseguite invece non solo da Giorgia Meloni ma anche dalla leader Pd Elly Schlein, contraria a corresponsabilizzare il proprio partito in un esecutivo di emergenza.

Lo scenario, in verità, appare alquanto fantapolitico anche in casa dem. «Certo i parlamentari di Forza Italia - chiosa scherzosa Lia Quartapelle del Pd - non sono fessi come quelli del Movimento Cinque Stelle, che si è accodato a Meloni, Salvini e Berlusconi per provocare la crisi del governo Draghi», rimettendoci l'osso del collo alle elezioni dello scorso settembre.

Ma la nascita di un nuovo governo «tecnico» post-Meloni causa implosione di Forza Italia appare a lei, come alla maggior parte dei dirigenti Pd interpellati, assai poco probabile. Anche perché nessuno scommetterebbe oggi, a un anno dalle elezioni europee, su una reale spaccatura tra il governo Meloni e l'Unione europea. La premier italiana ha tutto l'interesse a mantenere buoni rapporti con la Ue e a dimostrare estrema flessibilità rispetto alle parole d'ordine del passato, come dimostra simbolicamente anche il sotterraneo lavorio pro-Mes: Palazzo Chigi ha dato, senza fanfare, il via libera all'incardinamento parlamentare del trattato, che arriverà in aula nel Parlamento italiano (buon ultimo in Europa) a fine giugno. «E non siamo stati noi a chiederlo, ma loro», sottolinea Quartapelle. «Sono convinto che in breve tempo troveremo un terreno comune con il governo italiano», ha flautato nei giorni scorsi il ministro tedesco delle Finanze Christian Lindner. Traduzione: la Ue si aspetta un via libera da Roma, e senza condizioni tanto minacciose quanto scarsamente credibili, che vengono escluse da fonti Ue: «La riforma del Patto di stabilità e la ratifica della riforma del Mes da parte dell'Italia sono due cose che non hanno granché a che vedere, essendo due materie completamente separate», che «non si vede perché debbano essere collegate», facevano notare ieri dal ministero delle Finanze di Parigi, alla vigilia della riunione dell'Eurogruppo di domani in Lussemburgo, che dovrebbe essere preceduta da un consiglio del Mes. Quanto alle resistenze del governo di Roma sul Mes, «si tratta di una mera questione di politica interna. È una questione italo-italiana, non è in gioco una questione europea». Traduzione: l'Italia per prima sa di non potersi sottrarre all'impegno, e di non poter barattare in cambio modifiche alla riforma degli accordi sulle regole di bilancio di cui si discuteranno oggi e domani in Lussemburgo. Ma deve trovare il modo di rimangiarsi senza eccessive figuracce i proclami anti-Mes del recente passato sovranista e anti-Ue.

Anche il via libera di Meloni (contro gli ex alleati sovranisti di Polonia e Ungheria) all'accordo Ue sull'immigrazione testimonia l'interesse del governo italiano a giocare di sponda sulle alleanze europee con il Ppe - cui appartiene Forza Italia -, per mantenere un ruolo centrale nella politica continentale in vista delle elezioni europee del prossimo anno, e per poter concorrere a determinare gli equilibri della futura Unione. Per Meloni, quindi, è fondamentale mantenere un rapporto stretto con il partito fondato da Berlusconi, che può giocare un importante ruolo da garante nei confronti dei Popolari europei.

Che, a loro volta, hanno bisogno - per mantenere uno status decisivo nel futuro Parlamento europeo - di un aggancio solido in uno dei principali governi di centrodestra dell'Unione. E dunque vedono come ideale un'alleanza più organica tra i meloniani e gli azzurri, anche per rendere sempre più residuale il ruolo della destra leghista di Matteo Salvini.

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