La stucchevole rissa continua tra Pd e Lega, con reciproche accuse di non voler realizzare il programma di riforme del governo e inviti ad andarsene dal medesimo governo, è destinata a durare.
Il problema è che, mentre l'esecutivo va avanti e macina risultati nonostante la palla al piede della sua maggioranza, Pd e Lega pensano alla campagna elettorale per le amministrative, che costituiscono un test fondamentale per capire cosa succederà dopo, e quanto aumenterà (o diminuirà) la spinta verso il voto politico anticipato. Nel Pd sono convinti che nei piani di Matteo Salvini ci sia sempre più l'obiettivo di staccare la spina alla legislatura subito dopo l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, nel 2022. «Più i sondaggi premiano FdI, più lui vorrà andare a votare prima possibile», ragiona con i suoi la capogruppo Debora Serracchiani. Uno sbocco che il Pd vuole evitare ad ogni costo. «Il leader della Lega è costretto a fare due parti in commedia, un po' di lotta e un po' di governo, dalla paura di cedere consensi a Giorgia Meloni», dice il dem Andrea Romano. «Punta al voto nel 2022, cercando di intestarsi l'elezione di Draghi al Colle, per arginare l'alleata e non rischiare che dentro la Lega gli facciano le scarpe». La leader di FdI, dal canto suo, ammette che «se Draghi andasse al Quirinale si andrebbe a votare per le politiche», ma frena rispetto agli endorsement di Salvini: «Lui si dichiara per Draghi, io questa scelta non la ho ancora fatta». E non sembra avere troppa fretta di votare, ammettendo tra le righe che - al contrario di Salvini - le serve tempo (comodamente assisa all'opposizione) per costruire la propria leadership personale e una classe dirigente che le manca: «Mi preparo a governare la nazione», annuncia.
Intanto assiste alle scaramucce tra alleati di governo. «Letta è ossessionato da me, ma il vero ostacolo alle riforme, fisco e giustizia soprattutto, non siamo noi: i problemi vengono da Pd e M5s», accusa Salvini. Il vice segretario di Letta, Peppe Provenzano, gli replica a brutto muso che è lui a «sabotare le riforme» e che «se non vuole i fondi della Ue è semplice: si dimettano i ministri leghisti chiamati a gestirli». Un invito esplicito, e non nuovo, a uscire dalla maggioranza, che Salvini non ha alcuna intenzione di raccogliere. «Letta stia sereno, Draghi farà le riforme anche con la Lega, a prescindere dal pressing del Pd», dice il capogruppo Fi Occhiuto. Non tutti, nel partito di Letta, condividono la linea dello scontro continuo con la Lega nel tentativo di dividerla da Fi: «Rischiamo di fare il gioco della Meloni, così. Invece dovremmo ritagliarci il ruolo di far totalmente nostra l'agenda Draghi, responsabilizzando Salvini per mandarla avanti insieme», dice una parlamentare, «ma la corsa alle amministrative alimenta la deriva identitaria». Il Pd, che a Roma e a Torino potrebbe avere un'autostrada elettorale denunciando il disastroso fallimento delle amministrazioni grilline, non può permettersi di litigare con i 5Stelle, e deve dunque alimentare lo scontro con un centrodestra che arranca e litiga sui candidati.
«Ma non siamo noi ad essere in imbarazzo sulle riforme - giurano al Nazareno - Sulla giustizia il Pd ha già presentato le sue proposte, in perfetta linea con l'impianto Cartabia su prescrizione e Csm. È Salvini che si nasconde dietro lo strumento (nobile) del referendum per non assumersi l'onere di una riforma condivisa».
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