La società civile fa politica: è compatta per Draghi

La società civile è compatta per Draghi, dai sindaci alla Cei, dagli imprenditori ai sindacati. Ma questo non deve essere un alibi per contrapporre di nuovo politica e società civile.

La società civile fa politica: è compatta per Draghi

A giudicare dagli appoggi ricevuti negli ultimi giorni ci si dovrebbe chiedere non tanto quali meccanismi abbiano spinto Mario Draghi alle dimissioni quanto piuttosto perchè il premier abbia deciso di presentarle a Sergio Mattarella, per vedersele respingere. Incassata al Senato, nonostante la fronda del Movimento Cinque Stelle, una fiducia piena con maggioranza assoluta, ottenuto dal Quirinale l'incoraggiamento a tentare di proseguire l'esperienza di governo, ricevuto il pieno appoggio delle cancellerie internazionali e di testate prestigiose come Financial Times, Wall Street Journal e Economist, ricevuto un sostanziale via libera da tutti i partiti della maggioranza (esclusi i grillini), Mario Draghi ha visto la sua decisione di fatto contraddetta da larga parte degli ambienti di riferimento. Ma è la mobilitazione nazionale di realtà civiche ed economiche, in tutte le loro componenti, ad aver garantito il più corale sostegno al premier.

Sono partiti i sindaci con la lettere firmata, tra gli altri, da Roberto Gualtieri (Roma), Beppe Sala (Milano), Luigi Brugnaro (Venezia) e Marco Bucci (Genova) e sottoscritta da un migliaio di fasce tricolori, un ottavo del totale. "Draghi ha scelto con coraggio e rigore di non accontentarsi della fiducia numerica ottenuta in aula ma di esigere la sincera e leale fiducia politica di tutti i partiti che lo hanno sostenuto dall'inizio - hanno scritto gli amministratori in una lettera bipartisan - Noi Sindaci, chiamati ogni giorno alla difficile gestione e risoluzione dei problemi che affliggono i nostri cittadini, chiediamo a Mario Draghi di andare avanti e spiegare al Parlamento le buoni ragioni che impongono di proseguire l'azione di governo". Una mossa che ha scatenato l'ira, dall'opposizione, di Fratelli d'Italia e Giorgia Meloni (secondo la quale i sindaci usano le istituzioni "senza pudore, come se fossero sezioni di partito. La mancanza di regole e di buonsenso nella classe dirigente in Italia comincia a fare paura"). Questa mossa segna come nel campo del governo delle città la componente amministrativa superi oramai quella più squisitamente politica. Per i sindaci l'obiettivo è la messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la ripartenza di investimenti e consumi, una sostanziale continuità organizzativa.

Hanno proseguito poi gli enti economici. Confcommercio ha parlato delle "esigenze e delle attese del Paese reale" e di "quanto sia cruciale agire presto e bene" sul cronoprogramma del Pnrr e delle riforme; per Confindustria la "fase è delicata", mentre Assolombarda sottolinea per mezzo del presidente Alessandro Spada che al Paese "servono la credibilità e la concretezza che hanno contraddistinto il governo Draghi". Ed è sintomatico il fatto che la posizione degli industriali sia condivisa anche dagli organismi sindacali. Il segretario della Uil Pier Paolo Bombardieri nella serata del 17 luglio ha ricordato che per la prima volta nell'incontro della scorsa settimana si era vissuto un clima costruttivo nel confronto col governo e perfino la Cgil, tra gli organi confederali più critici dell'esecutivo nel suo anno e mezzo di vita, ha dichiarato che "non è il momento d'indebolire il Paese e bloccare le riforme", una presa di posizione estremamente organica a quella delle controparti industriali.

Sindaci, confederali e organizzazioni di rappresentanza delle imprese guardano in quest'ottica alla volontà del governo di promuovere le riforme e di mettere in campo nuove misure di rilancio e stimolo dell'economia mentre si avvicina un autunno segnato da una congiuntura pericolosa. Altrettanto ritengono le associazioni professionali: da Federfarma a Assoporti, da Confagricoltura all'Associazione Bancaria Italiana, dall'Associazione Nazionale Costruttori Edili (Ance) a Federacciai, gli appelli a Draghi a restare sono stati trasversali e numerosi. Così come lo sono stati quelli di molti manager e imprenditori di altissimo profilo: Diego Della Valle (Tod's), Carlo Cimbri (Unipol), Francesco Pugliese (Conad) sono solo alcuni di coloro che pubblicamente hanno espresso pubblico sostegno a Draghi. Per tutte queste organizzazioni e figure il principale costo della crisi di governo è legato alla possibilità di vedere il Paese in esercizio provvisorio e in preda all'incertezza in caso di crollo del governo o di navigazione "balneare" fino a nuove elezioni.

Ma il mantra della responsabilità e della credibilità arriva fino a punti meno legati al mondo economico e produttivo. La Conferenza Episcopale Italiana, ad esempio, non ha fatto mancare un implicito sostegno a Mario Draghi, molto legato al Vaticano e a Papa Francesco, che lo ha nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. L'arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, ha infatti dichiarato: "ci auguriamo che vi sia uno scatto di responsabilità in nome dell’interesse generale del Paese che deve prevalere sulle pur legittime posizioni di parte per identificare quello che è necessario e possibile per il bene di tutti". A Milano, invece, per la giornata del 18 luglio è stata convocata la manifestazione "Con Draghi, per il futuro dell'Italia e dell'Europa" lanciata online da alcuni cittadini meneghini che ha ottenuto l'adesione di partiti e movimenti politici, tra cui Azione, +Europa, Italia Viva, Base Italia e Movimento Federalista Europeo.

Parafrasando Winston Churchill, mai nella storia politica recente così tanti hanno chiesto così tanto a uno solo. Il vuoto della politica si riflette nella politicizzazione di ogni atto, anche esterno alle istituzioni. E così mentre Conte rompe di fatto su una causa strumentale, come il termovalorizzatore di Roma, simbolo della fine dell'unità nazionale e il governo si trova di fronte al naufragio e alla paralisi buona parte della società civile si unisce alla politica nel chiedere a Draghi di continuare conscia che lo status quo consente di avere, perlomeno, nel premier un alibi. Senza discutere le qualità personali del premier, è chiaro che in un contesto come quello attuale Draghi sia sostenuto più in forma ideale che reale: si vede nel premier l'estrema ancora di salvezza su cui appoggiarsi in un contestoche vede l'inflazione in volo, la politica governativa vittima dei veti incrociati, il caro energia travolgere redditi e imprese, la pace sociale a rischio. Il Movimento Cinque Stelle rompe sulla base di pretesti ma anche senza i grillini l'esecutivo può trascinarsi ostaggio di veti incrociati. Chiedere a Draghi di restare e stigmatizzare una crisi di governo spericolata è opzione di commento legittima e sotto molti punti di vista condivisibile.

Ridurre il tutto a una nuova contrapposizione tra una politica irresponsabile e una società civile irreprensibile, produttiva e migliore del palazzo può far correre il rischio di veder tornare la retorica degli ultimi due decenni, quando (soprattutto nel centrosinistra) il mito del civismo è stato contrapposto ai presunti vuoti della politica. E dopo anni di emergenza, è solo da discontinuità politiche che potranno arrivare svolte reali per normalizzare il sistema-Paese. Questo indipendentemente dalle sorti del governo Draghi.

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