Lui non c'era. Quando si trattò di andare all'attacco, sferrando quello che doveva essere il colpo finale a Silvio Berlusconi, Piercamillo Davigo si tirò da parte. A raccontarlo è la collega che dei processi negli anni Novanta per il «caso Ariosto» fu la protagonista indiscussa, Ilda Boccassini: che nel suo libro uscito da poco, La stanza numero 30, scrive: «Il peso delle indagini gravava su di me e Gherardo Colombo. Davigo era contrario, disse che se lo costringevano ad andare in aula avrebbe intentato causa civile per astenersi».
Ora anche Davigo ha scritto un libro, L'occasione mancata. Dove di quella battaglia combattuta da altri si riappropria, rivendicandola come se l'inchiesta e il processo li avesse fatti lui. La battaglia, come è noto, finì per il pool con una sconfitta sonora, con Berlusconi assolto con formula piena sia nel processo Sme che in quello per il Lodo Mondadori, scaturiti entrambi dalle dichiarazioni di Stefania Ariosto, la «teste Omega» dei rapporti tra i legali del Cavaliere e alcuni giudici romani. Ma nel suo libro Davigo liquida quelle assoluzioni come una dimostrazione di «grande benevolenza» da parte dei giudici che in udienza preliminare, in appello e in Cassazione si occuparono delle accuse a Berlusconi e ritennero che non ci fossero le prove di un suo coinvolgimento negli episodi contestati: per i quali secondo Davigo c'erano invece «fatti inoppugnabili», «ampiamente riscontrati e integrati da prove documentali».
Berlusconi per Davigo non è un innocente ma un colpevole «che l'ha fatta franca»: categoria cui, come è noto, per il «Dottor Sottile» appartengono quasi per intero gli imputati che (magari dopo anni, magari dopo essersi fatta la galera) vedono riconosciuta la propria estraneità. Le assoluzioni sono di solito degli errori giudiziari. E l'assoluzione, tutte le assoluzioni del leader di Forza Italia sono errori anche loro: il caso Sme, la Mondadori, e prima ancora quella per le tangenti alla Guardia di finanza, l'accusa che portò al famoso avviso di garanzia del novembre 1994 durante il summit di Napoli. Secondo Davigo la Cassazione per assolvere Berlusconi si sarebbe rimangiata la sua stessa «giurisprudenza consolidata» sui criteri di valutazione delle prove: quisquilie giuridiche, insomma. Peccato che l'assoluzione di Berlusconi nel 2001 sia tranchant, e parli dell'assenza di «prove dirette né orali né documentali»; e che nel 2009 la Cassazione assolse anche due collaboratori di Berlusconi, Marinella Brambilla e Nicolò Querci, e anche in quella sede la ricostruzione degli stessi fatti su cui ora si basa in buona parte il libro di Davigo venne liquidata come «una serie di congetture del tutto opinabili, rimaste prive di alcun riscontro».
Tutto ciò non conta. Se l'occasione di far fuori Berlusconi per via giudiziaria fu, come dice il titolo del libro di Davigo, L'occasione mancata la colpa secondo l'ex pm milanese non fu dell'innocenza dell'imputato o della mancanza di prove: ma dei giudici che pur «alla luce delle prove raccolte» e «a fronte delle condotte volte a impedire o rallentare i processi» e «della straordinaria gravità dei fatti» dimostrarono «grande benevolenza».
Comunque per Davigo non è detta l'ultima parola: «su questo si pronunceranno gli storici quando le passioni saranno spente».Nell'attesa che gli storici dicano la loro, resta una curiosità: se le cose andarono come dice la Boccassini, perché Davigo di occuparsi del processo a Berlusconi non voleva neanche sentire parlare?
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