Non sono invisibili, ma per vederli bisogna avere la capacità di guardarli. L'istituto nazionale di statistica certifica che nei comuni delle «aree interne» risiedono più di 13 milioni di individui, circa un quarto della popolazione italiana. Il guaio è che il calo demografico qui è tre volte più veloce che nelle città. Sono diventate terre desolate, dove si muore e non si nasce, e i pochi giovani se ne vanno, emigrano, in altre terre, spesso all'estero, senza neppure sentirsi cervelli in fuga, ma ragazzi in cerca di un lavoro qualsiasi. Sono gli italiani che rappresentano una fetta, in crescita, di nuovi emigranti. Si lasciano l'Italia alle spalle in silenzio, a ranghi sparsi. In questi paesi ognipasso sembra un incanto e spesso ti perdi in quelle case vuote, di gente che non c'è più, di figli ormai vecchi che tornano solo d'estate, quattro giorni ad agosto, magari per la festa del patrono. Sono seconde case su cui pagare le tasse. I governi hanno cercato di risolvere il problema con i fondi per le aree interne. Soldi che scendono giù dal cielo e ci si mette a posto la coscienza. Solo che i comuni non hanno strutture e competenze per realizzare i progetti e così solo il 19 per cento dei finanziamenti sono diventati realtà.
La realtà è che non bastano i soldi. Questi paesini sono ciò che resta di un mondo non globale. Quello che serve è una politica nazionale. Qui c'è la spina dorsale dell'Italia, quella reale e non virtuale, quella che per molti sembra non esistere.
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