La premessa possibile è una sola, sintetizzata con Il Giornale da un deputato, nel giorno dell'assemblea-processo nei confronti dei vertici e di Davide Casaleggio: «Qua c'è una confusione che non si capisce nulla». Per dipanare il groviglio inestricabile che è diventata la matassa dei grillini bisogna partire dal fatto più importante della giornata, piombato all'improvviso nel caos del M5s con la potenza delle dimissioni di un ministro, provocate da un drappello di parlamentari del suo stesso Movimento. Le voci di un addio del ministro dello Sport Vincenzo Spadafora cominciano a circolare già dalla serata di lunedì, smentite dal suo staff in men che non si dica. Spadafora fa filtrare «irritazione» e allontana le indiscrezioni sulla remissione del mandato nelle mani del premier Giuseppe Conte. Passa una nottata e arriva uno spiffero di senso opposto. Si diffonde la notizia di un incontro tra il titolare dello Sport e il premier Conte. Durante il faccia a faccia, Spadafora avrebbe consegnato nelle mani del presidente del Consiglio le sue dimissioni. Poi «congelate» da Palazzo Chigi in attesi di sviluppi dalla riunione dei parlamentari con il capo politico Vito Crimi. Si parla anche di una volontà di Spadafora di lasciare la delega sullo Sport e mantenere quella sulla gioventù. Ma circolano anche voci di un cambiamento di casella dell'ex braccio destro di Di Maio, diretto verso il ministero dell'Istruzione, ora guidato da Lucia Azzolina.
Dallo staff di Spadafora si chiudono a riccio. Non confermano le dimissioni, anzi smentiscono: «Non si è dimesso e non ha visto Conte», il messaggio che arriva dall'entourage. E resta l'irritazione per l'iniziativa dell'ex sottosegretario grillino Simone Valente e di quattro parlamentari, che ha portato il direttivo del M5s alla Camera a chiedere lo stop alla riforma dello sport di Spadafora. Il deputato Felice Mariani, uno dei firmatari della lettera dice: «Nessun agguato, ma se Spadafora si fosse ricordato di essere un ministro del M5s non si sarebbe arrivati a questo». Benzina sul fuoco della fronda che invece chiede da giorni un passo indietro del capogruppo Davide Crippa e soprattutto del suo vice Riccardo Ricciardi. «Qui rischiamo di andare tutti a casa per colpa di quei geni del direttivo», dicono fonti parlamentari alla Camera. Dal versante opposto, il ministro è accusato di voler restituire centralità a Giovanni Malagò, presidente del Coni, depotenziato dalla precedente riforma firmata da Giancarlo Giorgetti e dal grillino Valente.
C'è chi è disposto ad andare avanti chiedendo le dimissioni di Crippa e del direttivo. Allo stesso tempo, una parte più consistente del gruppo spinge per votare il nuovo vertice a settembre. Restano le solite questioni. Innanzitutto il ruolo di Rousseau. Sul tema i deputati vorrebbero seguire l'esempio dei senatori, che con una modifica del regolamento del gruppo hanno cancellato ogni riferimento alla piattaforma. Aperto il nodo leadership. La corrente di Alessandro Di Battista preme per nominarlo nuovo capo politico, mentre Di Maio sta tentando un accordo con i contiani e con Paola Taverna, altra pretendente, per un direttorio da varare in autunno.
E come se non bastasse è arrivata una nuova lettera ai parlamentari, con l'invito dei probiviri a mettersi in regola sulle restituzioni entro il 24 agosto. Tra i big spiccano i nomi della Taverna e del sottosegretario Riccardo Fraccaro, entrambi fermi a dicembre 2019.
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