Barcellona La «zona zero» è una ferita aperta difficile da dimenticare. La violenza che ha spazzato via questo piccolo salottino di palazzi in stile Liberty non dovrebbe appartenere alla storia della civile Catalogna. È ben presente negli occhi di chi c'era e di chi guardava in tv. «La battaglia di Urquinaona», come l'ha ribattezzato la stampa spagnola, sei incredibili ore di guerriglia urbana, tra la piazza dedicata al vescovo del XIX secolo e la avenida Laietana, è un pozzo nero di vergogna in cui sono precipitate le istituzioni, perché inadatte, deboli e immobili. La zona di guerra dove lo stato di diritto è scomparso, assieme alle ragioni per cui venerdì si manifestava: l'indipendenza? La liberazione dei condannati, un nuovo referendum, il lavoro? Il ilancio finale parla di 180 feriti e 83 persone fermate.
Ieri l'invasione gentile di oltre 500mila persone che chiedevano in modo pacifico, assieme a famiglie e bambini, il rilascio dei presos politicos, ha attratto, come una calamita, i peggiori terroristi in circolazione della protesta pacifica. Rossi e neri, estremisti secessionisti e indipendentisti radicali. Ed è stata la peggiore notte per Barcellona, in un clima surreale e apocalittico: tremila agenti dislocati nelle strade a presidiare i punti sensibili, duemila in assetto di guerra con pallottole di gomma e fumogeni urticanti, cento blindati d'appoggio, due tank con potenti getti d'acqua e due elicotteri a presidio. E il risultato è sotto gli occhi di tutti, tranne che dei politici, basiti o forse, come scrive El Mundo, completamente distratti dalle ultime tre settimane rimaste di campagna elettorale, prima del voto del 10 novembre. Il quotidiano madrileno, ieri, si chiedeva, in un feroce editoriale: «Che cosa aspetta Sánchez ad aprire con urgenza un tavolo di dialogo, convocando a Madrid per un orecchio il presidente della Catalogna? Prima della crisi di Governo il premier aveva promesso una rapida soluzione della cuestió catalá, ma in realtà ha trascorso l'estate a contare le sue poltrone, sognando ipotesi di governo, sperando che il problema evaporasse». Perché la «Battaglia di Urquinaona» è una palese sconfitta che ha già un suo posto nella moderna storia catalana. Il presidente della Catalogna Quim Torra ha spiegato che «nessuna forma di violenza ci rappresenta e rappresenta l'esercizio della democrazia e della libertà», tuttavia «la causa della libertà è inarrestabile e andremo fino a dove il popolo della Catalogna vorrà andare». Torra, dalla sede della Generalitat ha quindi sollecitato Sanchez «perché fissi giorno e ora per aprire un tavolo di negoziati senza condizioni». ma come scrive El País, la «Battaglia di Urquinaona» segna lo stop definitivo del processo per l'indipendenza intrapreso dalla Catalogna, «arenatosi in una fetida palude di violenza e guerriglia urbana, gestito da politici pagliacci che, invece, di discutere e proporre soluzioni in Parlamento a Madrid, sono saliti sulle barricate con i terroristi della democrazia».
Ieri il ministro degli Interni Fernando Marlaska è arrivato in città. Ha difeso il lavoro della polizia contro i violenti, ribadendo la linea dura di carcere.
Il premier Sánchez non ha risposto al telefono a Torra: esige prima una condanna alla violenza e sembra rimandare a dopo le urne. «L'anno zero» di Barcellona potrebbe, però, negargli la vittoria e rimetterlo all'opposizione. E al giudizio dei suoi compañeros socialisti.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.