Un triangolo micidiale: un procuratore corrotto, un manager in cerca di glorie e di incarichi, e poi lui, Piero Amara, il torbido avvocato dai mille legami che ora si spaccia per «testimone di giustizia». Era questo terzetto a fare il bello e il cattivo tempo a Taranto, intorno alle inchieste sull'acciaieria dell'Ilva. Il procuratore di facili costumi era Carlo Maria Capristo, vecchio sodale di Amara. E il manager in cerca di incarichi era, secondo l'inchiesta della Guardia di finanza che ieri lo porta agli arresti domiciliari, nientemeno che il numero 1 dell'Ilva: Enrico Laghi, il manager che nel 2015 il governo Renzi (la firma fu del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi) indicò come amministratore straordinario dell'Ilva. Laghi, professore di Economia alla Sapienza, arrivò lì con l'incarico di cercare una terza via tra le esigenze del lavoro e quelle della salute. Secondo il mandato di cattura eseguito ieri, il cattedratico scelse invece di proteggere l'Ilva dalle inchieste venendo a patti con la Procura, garantendo a Capristo una serie di vantaggi in cambio del trattamento di favore in una sfilza di inchieste: da quelle sull'inquinamento ambientale all'indagine sulla morte di Giacomo Campo, un operaio di venticinque anni stritolato nel 2016 da un nastro trasportatore.
In cambio di un approccio soft alle indagini, Laghi avrebbe garantito a Capristo una lunga sfilza di ricompense: consistenti soprattutto negli incarichi professionali da parte di Ilva all'avvocato Giacomo Ragno, considerato l'alter ego del procuratore fin da quando entrambi stavano a Trani. E il grande regista di questi accordi era lui, Amara, che per aiutare Capristo nelle sue ambizioni di carriera trafficava dentro al Csm; e che a Taranto, nelle vicende giudiziarie dell'acciaieria, di cui era il ben pagato legale, si muoveva da dominus. Al punto che quando, dopo la morte del povero Campo, la Procura deve nominare un consulente, è Capristo a suggerire al pm il nome giusto, un torinese gradito all'Ilva, ed è Amara a pagargli il biglietto aereo per Taranto. Nemmeno due giorni dopo, il forno incriminato viene dissequestrato: come voleva Laghi.
A spedire il professor Laghi agli arresti domiciliari è la Procura di Potenza, che per questo stesso filone in giugno aveva arrestato sia Capristo che Amara. Amara per cavarsi d'impiccio, come in altre occasioni, si è messo a riempire verbali davanti ai pm di Potenza, tornando a raccontare la storia che lo ha reso famoso, quella sulla presunta «loggia Ungheria»: tirando in ballo soprattutto dei morti. Ora agli arresti finisce anche Laghi, e non è escluso che a portare alla sua incriminazione abbiano contribuito anche le dichiarazioni di Amara.
Secondo l'ordinanza di custodia, il commissario straordinario avrebbe corrotto il procuratore Capristo non solo nell'interesse di Ilva ma anche per un vantaggio personale, perché risparmiando grane all'azienda «acquisiva maggiore credito presso il governo nazionale ed i ministri competenti quale abile e capace manager risolutore delle questioni giudiziarie/economiche e patrimoniali» delle aziende che era mandato a guidare.
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