
Domani Chiara Poggi avrebbe compiuto 44 anni e come ogni anno i suoi genitori le porteranno un mazzo di rose bianche sulla tomba. Questa volta con un macigno ancora più pesante sul cuore, dopo aver visto ieri sera Alberto Stasi, l'ex fidanzato della figlia condannato a 16 anni per il suo omicidio, parlare in Tv al Le Iene dello «tsunami di emozioni» che prova da quando la Procura di Pavia sta indagando di nuovo su Andrea Sempio, l'amico del fratello di Chiara oggi 37enne già finito sotto inchiesta nel 2016.
Lo sviluppo investigativo inaspettato, di fatto mette in discussione la condanna che Stasi ha quasi finito di scontare nel carcere di Bollate, dal quale esce di giorno perché ammesso al lavoro esterno, in attesa di chiedere l'affidamento in prova. Ma per i Poggi è una ferita che si riapre: per loro la verità sul delitto di Chiara è stata già scritta e l'intervista in cui Stasi dice di augurarsi si possa arrivare a un'altra verità è «inopportuna». In tutti questi anni il giovane si è sempre dichiarato innocente. «Vivo con fiduciosa attesa, con speranza, che venga alla luce tutto quello che deve emergere», dice a Le Iene, nello speciale interamente dedicato al delitto di Garlasco, in onda stasera.
Stasi ricorda che tra pochi mesi potrebbe anche essere definitivamente a casa e che dunque non sono i pochi mesi che lo separano da questo traguardo a fare la differenza: «Ho motivazioni più profonde, sarebbe molto più importante per me, per la mia famiglia e per Chiara, trovare la verità». Perché, nonostante il carcere gli abbia tolto molti anni di vita che non torneranno più, il laureato della Bocconi crede ancora in una giustizia giusta. Ha accetto la condanna definitiva come «quando ti diagnosticano un male incurabile: arriva la notizia, la devi prendere e la devi affrontare per quella che è, non hai alternative, non ci sono piani b, quindi fai quello che devi fare, semplicemente questo».
Ora, con la ricomparsa sulla scena di Sempio e i nuovi accertamenti genetici sul materiale trovato sotto le unghie della 26enne disposti dalla Procura, si riaccende la speranza. Sul fatto che il nuovo indagato non aveva dato il consenso al prelievo del dna (prima che il gip lo disponesse coattivamente), Stasi spiega di essere «sempre assolutamente garantista», aggiungendo di essere «comunque convinto che non si debba mai avere paura della verità e che quindi non ci sia motivo di sottrarsi a nessun tipo di accertamento». La fede lo avrebbe aiutato nei momenti più difficili: «È un qualcosa che rimane latente quando la tua vita va bene e a cui ci si aggrappa quando invece le cose non vanno bene».
Racconta poi del lavoro, «che gli piace», dei colleghi, «che sono molto simpatici». Una routine che ha degli orari e delle prescrizioni precise, sui mezzi da impiegare, sulla strada da fare, sulla pausa pranzo, sulle persone che si possono frequentare.
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