Stasi condannato a 16 anni. Per la Cassazione è il killer

Sentenza a sorpresa: l'accusa aveva chiesto un nuovo processo o l'assoluzione. Alberto si è costituito, è già in carcere. La madre di Chiara: "Giustizia è fatta"

Stasi condannato a 16 anni. Per la Cassazione è il killer

Ecco il vero coupe de théâtre. Alberto Stasi condannato, confermati i 16 anni che gli erano stati inflitti un anno fa dalla Corte d'appello di Milano. È davvero lui, anche per la Cassazione l'assassino di Chiara Poggi, l'allora fidanzata massacrata a Garlasco in un'afosa, deserta mattina d'estate. Era il 13 agosto 2007.

Nessuno se l'aspettava, pochi ci avrebbero scommesso un solo cent dopo le pirotecniche evoluzioni del procuratore generale Oscar Cedrangolo, l'uomo dell' «accusa» che venerdì, sorprendendo tutti aveva chiesto ai «colleghi» giudici di rifare il processo al biondino dagli occhi blu. In subordine di scagionarlo.

Il dado pareva tratto. Una notte passata a pensarci, tre ore di camera di consiglio, hanno ribaltato, a sorpresa, il destino di questo ragazzo ormai uomo. Stasi ha 32 anni, una laurea alla Bocconi, un mestiere da commercialista e un'aziendina di famiglia in cui almeno per una decina d'anni non potrà rimettere piede. Ieri, appreso della condanna definitiva, è scoppiato in lacrime davanti a madre e avvocato. Stava aspettando da un rifugio segreto la sentenza, barricato lontano dai riflettori. Ma non ha atteso che i carabinieri venissero a mettergli le manette. Avrebbe potuto sfruttare due giorni ancora di libertà, altre 48 ore di non vita in attesa che il dispositivo della Cassazione seguisse l'iter da Roma alla Procura di Milano che deve emettere l'ordine di esecuzione della pena. Alberto, ha anticipato l'ineluttabile. Ha preparato una borsa e all'ora di pranzo si è fatto accompagnare nel carcere di Bollate.

Le sbarre, finora le aveva viste solo per quattro giorni, adesso i sedici anni da scontare si accorceranno solo grazie ai normali benefici di legge. Tutto sommato gli è andata bene: se non avesse scelto il rito abbreviato la condanna sarebbe stata a 24. E per sua fortuna i giudici hanno respinto l'aggravante della crudeltà. Una sentenza, comunque, controversa. Destinata a far discutere, a dividere comunque la si voglia vedere. Per tempistica, modalità, indizi mai corroborati da prove certe.

L'impalcatura accusatoria, ricostruita nel processo d'Appello bis dalla pm Laura Barbaini, però, ha retto anche di fronte alla Suprema corte. Quasi nemesi di quella giustizia divina tanto invocata dalla madre della vittima. «Prego sempre Chiara di aiutarsi, di far sì dall'alto che i giudici arrivino alla verità», aveva ripetuto Rita Preda in più di un'occasione.

Forse non ci sperava più. «Giustizia è fatta», ha invece esultato ieri, affacciandosi dalla villetta di via Pascoli dove ha continuato ad abitare con il resto della famiglia nonostante proprio in quella casa si fosse consumato l'orrore. Misurata, pacata, semplicemente forse adesso pìù serena. «Sono emozionata - ha proseguito la donna, - dopo le parole del procuratore eravamo pessimisti. Temevamo che la sentenza della Corte d'appello d'Assise di Milano fosse ribaltata con una assoluzione e se fosse stato così non mi sarei mai arresa: io sono la mamma e per mia figlia ho il dovere di continuare. Ora proviamo sollievo anche se non si può gioire per una condanna. Questa - ha concluso - è una tragedia che ha sconvolto due famiglie». Fin da subito, in fondo, sia lei che il marito erano andati sempre più convincendosi della colpevolezza del fidanzato. Di quel ventiquattrenne che consideravano quasi un figlio. Qualche settimana più tardi decisero di non parlargli più, di evitare di incrociarlo.

Alberto ci mise poco a «sparire», inseguito però dai sospetti.Per i suoi difensori, quella di ieri «è una «sentenza allucinante». «Non si mette una persona in carcere senza una prova certa», commenta amaro l'avvocato Fabio Giarda. Chissà se giustizia è davvero stata fatta.

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