Il giallo senza fine, nella sua diabolica metastasi, si arricchisce. Spuntano un nome e un cognome, un volto (semi)nuovo da gettare in pasto a questa nostra Giustizia incapace cronica di far giustizia. Garlasco, quasi dieci anni dopo, appena «chiuso» torna a essere un caso aperto.
Si chiama Andrea Sempio il giovane iscritto nel registro degli indagati nell'ambito della nuova inchiesta sull'omicidio di Chiara Poggi, massacrata nella villetta di famiglia la mattina del 13 agosto 2007. Lui, già additato come nuovo potenziale «mostro», o chissà, forse complice, allora era uno dei pochi amici intimi del fratello della vittima, Marco. Un frequentatore abituale della casa a schiera di via Pascoli 8.
L'indagine, nata male in quel torrido e lì deserto giorno di vacanze, si sviluppò peggio e finì tra i dubbi. Tanto da riaffiorare ancora come inafferrabile fantasma. Chiara, 26 anni, laureata in Economia e Commercio, quell'estate lavorava, stava facendo uno stage d'informatica in un'azienda di Milano. Il suo fidanzato, Albero Stasi, il biondino gelido e col physique du rôle del killer perfetto, era con lei, almeno fino alla sera prima, quando insieme mangiarono una pizza. Il poi, potrebbe avere nuove verità. Una forzatura o un diverso, altrettanto sconvolgente scenario che si apre di fronte a nuovi elementi? La procura di Pavia, che sta indagando su Sempio - lui nel 2007 appena maggiorenne- scava, riavvolge la bobina del macabro rebus, prova a ridefinire errori, colpevoli sbadataggini, ma soprattutto a cercare prove. C'è un Dna confuso, trovato dagli investigatori ingaggiati dalla difesa di Stasi, su cui lavorare. E poi un alibi, all'epoca dell'omicidio considerato inattaccabile, ma che col senno del poi potrebbe risultare meno solido. Alberto Stasi, dopo due assoluzioni, nel dicembre 2015 venne giudicato colpevole. Si consegnò spontaneamente in carcere, ora langue a Bollate con sentenza definitiva (16 anni), ma ripete di essere innocente. Sua mamma, anche dopo la morte del marito, sì è schierata al suo fianco. L'esposto contenente perizie e nuovi sospetti l'aveva firmato lei, Elisabetta Ligabò. «Il nostro obbiettivo - ripetono gli avvocati Fabio Giarda e Giada Bocellari- non è solo far scarcerare Alberto, ma anche arrivare alla verità. Per questo vogliamo la revisione del processo». «Dopo la condanna abbiamo affidato a un'agenzia investigativa l'incarico di rianalizzare il contenuto delle indagini già fatte, consapevoli che la condanna di Alberto è stata un'ingiustizia. A un certo punto, ci siamo concentrati su una determinata pista e gli investigatori hanno acquisito un Dna (quello Sempio, ndr) che è stato confrontato con quello che loro avevano già a disposizione perché ricavato nell'ambito della perizia effettuata nel processo d'Appello». Quindi l'esposto con i risultati delle loro «private investigation» alla Procura Generale di Milano, girate d'ufficio ai magistrati di Pavia e finite sul tavolo del pm Mario Venditti. Dopo i silenzi imbarazzati seguiti da «smentite» di prammatica, ora la richiesta di revisione viene considerata, quasi a sorpresa, «fondata» dal Procuratore generale di Milano Roberto Alfonso. Tanto che il pg avrebbe già trasmesso la richiesta alla Corte d'Appello di Brescia. Di certo un gol a tempo «scaduto», per Stasi, in una partita che sembrava chiusa. E persa.
Dopo le famose - per un giorno - gemelle Cappa, cugine di Chiara Poggi, sospettate proprio da Alberto e sfiorate per un attimo dall'inchiesta, a dieci quasi di
distanza, si riparte dunque dalla cerchia degli intimi. Da qualcuno che sicuramente la vittima conosceva, non temeva, e al quale, quella tragica mattina, aprì la porta della villetta. Resta un altro dubbio: c'era un solo killer?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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