In stato vegetativo per il formaggio. A giudizio pediatra che non lo visitò

Nel 2017 in un caseificio l'assaggio fatale. Poi la diagnosi in ritardo

In stato vegetativo per il formaggio. A giudizio pediatra che non lo visitò
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Stava male, dopo aver mangiato un pezzettino di formaggio contaminato che gli aveva provocato un'insufficienza renale acuta, ma la pediatra dell'ospedale dove era stato trasferito si rifiutò di visitarlo ritardando la diagnosi. Da allora il bambino, che aveva quattro anni nel giugno del 2017 quando avvenne l'assaggio fatale, è in stato vegetativo e la sua famiglia non ha mai smesso di chiedere giustizia portando avanti la battaglia legale in tutte le sedi.

Adesso la dottoressa dirigente medico del reparto di pediatria dell'Ospedale Santa Chiara di Trento, a cui i genitori del bimbo si erano rivolti ormai sette anni fa, è stata rinviata a giudizio dal gup Enrico Borrelli.

Era in gita, il piccolo, quando mangiò un pezzetto di formaggio «Due Laghi», prodotto dal caseificio sociale Coredo, e si sentì male. In un primo momento venne trasportato all'ospedale di Cles, dove è rimasto alcune ore in osservazione. Ma poiché le sue condizioni non miglioravano i medici decisero di trasferirlo nel reparto pediatrico del Santa Chiara di Trento. È qui che i soccorsi sarebbero scattati in ritardo, facendo slittare di tre giorni la scoperta della malattia provocata dal batterio escherichia coli presente nel pezzetto di formaggio che il piccolo aveva mangiato nel caseificio e che era stato prodotto con latte crudo trasferito in un tubo sporco di feci animali.

Secondo la Procura se la pediatra avesse visitato subito il bambino, come aveva chiesto una collega, la malattia di Seu (sindrome emolitico-uremica) sarebbe stata scoperta prima e una terapia mirata avrebbe forse potuto evitare al bambino di finire in uno stato vegetativo permanente.

Per questo i pubblici ministeri hanno chiesto e ottenuto dal gup di mandare a processo la dottoressa con l'accusa di lesioni e rifiuto di atti d'ufficio. La prima udienza è stata fissata il 24 aprile. «Proseguiamo la battaglia legale perché tragedie simili non devono ripetersi», ha spiegato al Corriere del Trentino il padre del piccolo.

La battaglia legale era già cominciata contro il caseificio responsabile di non aver seguito le corrette procedure di preparazione dei formaggi. Lo scorso dicembre, al termine di un dibattimento andato avanti a colpi di consulenze, perizie e audizioni di testimoni, il legale rappresentante del caseificio sociale Coredo e il responsabile del piano di controllo, accusati di lesioni personali colpose gravissime, sono stati condannati dal giudice di pace a pagare una multa di poco meno di 2.478 euro ciascuno più il pagamento delle spese processuali. Ora la battaglia legale si sposta sul piano medico. I giudici dovranno verificare se il comportamento della pediatra che si sarebbe rifiutata di visitare il piccolo abbia compromesso la situazione.

La famiglia del bambino, che si è costituita parte civile, chiede un risarcimento di oltre un milione di euro per lui e alcune centinaia di migliaia di euro per il padre, per compensare la perdita del rapporto con il figlio.

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