Gli strani silenzi di De Raho sui veri poteri della sua Dna

L'ex procuratore ora M5s nega: "Nessun fascicolo segreto". Quando le Sos di Totti finirono sui giornali

Gli strani silenzi di De Raho sui veri poteri della sua Dna
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Un asse di ferro tra la Direzione nazionale antimafia e il governo a guida 5 Stelle - compreso il ministro grillino della Giustiza, Alfonso. Bonafede - per tenere sotto controllo un intero paese attraverso le Sos, le segnalazioni di operazione bancarie sospette provenienti dalla Banca d'Italia. È questo il vero scenario dietro l'inchiesta di Perugia sulle centinaia di dossier e di veleni trapelati dalla Dna e utilizzati per scoop e attacchi. Ed è anche il grande assente dell'autodifesa tentata in queste ore dall'uomo che incarna il trait d'union tra i due versanti del patto: Federico Cafiero de Raho, procuratore capo della Dna dal 2017 al 2022, e oggi deputato dei 5 Stelle.

Da quando le notizie sulla centrale occulta che operava all'interno della Dna sono iniziate a circolare, in molti hanno puntato il dito su Cafiero. A partire da un dato di fatto: è sotto il suo regno che le fughe di notizie, dapprima sporadiche, diventano sistematiche. Ed è sotto il suo regno che si concentrano gli accessi abusivi alle banche dati compiuti da Pasquale Striano, ricostruiti ora a ritroso dall'indagine della Procura di Perugia. Poi c'è un altro dato di fatto, ancora più rilevante: è Cafiero a chiedere e ottenere dal governo Conte che la Dna diventi il terminale della grande maggioranza delle Sos. Non solo quelle riguardanti i temi istituzionali della procura nazionale, ovvero mafia e terrorismo, ma praticamente l'universo mondo.

Ieri Cafiero affida la sua verità ad una lunga intervista alla Stampa, in cui nega l'esistenza di una centrale di dossieraggio interna alla Dna, sostiene di avere già trovato operativo (al momento della sua nomina, alla fine del 2017) la struttura che riceveva le Sos guidata dal sostituto procuratore Antonio Laudati, e dice persino di conoscere «solo di nome» il luogotenente Striano, quello indagato adesso dalla procura di Perugia. È una affermazione sorprendente, perché Striano negli uffici e nei corridoi della Dna lo conoscevano praticamente tutti. Ma ancora più sorprendente è un'altra affermazione di Cafiero: quella in cui dice di «non avere mai avuto sospetti» sull'esistenza di una falla, e di essere intervenuto una volta sola per la pubblicazioni sui giornali delle sos di un politico: quando invece le fughe di notizie erano costanti e sistematiche. Ma lui se ne è accorto una volta sola.

A colpire, tra le dimenticanze di Cafiero, è soprattutto quella sulle pressioni esercitate per allargare a dismisura i compiti e i poteri della Dna, grazie ai rapporti privilegiati col governo e col ministro della Giustizia. È Alfonso Bonafede, su input di Cafiero, a scegliere di andare in senso contrario alla settima direttiva antiriciclaggio dell'Unione Europea, che raccomanda di rafforzare e estendere il ruolo degli uffici di informazione finanziaria (per l'Italia è l'Uif di Banca d'Italia) allargandone il potere di «disseminazione»: termine che indica la diffusione delle notizie sensibili ad ogni entità investigativa in grado di svilupparli, compresi i servizi segreti. L'Italia a trazione grillina sceglie di andare invece nella direzione opposta, e consente alla Dna di mantenere pressocché il monopolio del flusso di segnalazioni. Ieri Cafiero nella sua intervista sostiene che alla sua procura pervenivano solo le Sos «attinenti alle sue competenze su riciclaggio di denaro compiuto da organizzazioni mafiose e terroristiche».

Peccato che tra i dossieraggi compiuti grazie agli accessi abusivi non compaiano nomi di boss o di jihadisti ma di politici, imprenditori, personaggi pubblici. Tra le sos finite sui giornali, tanto per dire, ci furono anche quella sull'ex capitano della Roma Francesco Totti, nel pieno del suo tempestoso divorzio.

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