Lo strano silenzio di Saviano su Gratteri procuratore a Napoli

Nessun commento sul pm antimafia "benedetto" dalla Meloni: segno che il contrasto ai boss è secondario rispetto alla lotta politica

Lo strano silenzio di Saviano su Gratteri procuratore a Napoli
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Toc toc, c'è nessuno? Il nuovo procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri non si aspettava certo i tappeti rossi al suo arrivo: per la camorra sarà un avversario durissimo, per i pm della Procura un capo ingombrante, per i cronisti di giudiziaria una montagna (di diffidenza) da scalare. Ma c'è qualcuno il cui silenzio è tagliente come la raffica di kalanikov sparata in spiaggia dallo scugnizzo Pisellino nel Gomorra di Matteo Garrone.

Roberto Saviano non ha ancora detto una parola sull'arrivo del coraggioso pm anti 'ndrangheta. Nulla da suggerire? Certo, Gratteri sa cosa lo aspetta: una camorra elettrica, instabile e nervosa, dal grilletto facile, in cui se nessuno comanda tutti vogliono comandare: in questi mesi faide, agguati e omicidi nei quartieri non si sono mai fermati, vedi Ponticelli come ha documentato Klaus Davi.

Ma a Napoli come a Milano c'è anche una borghesia mafiosa da sconfiggere: altrove i clan sono sempre meno violenti, la nuova grammatica del potere passa dal riciclaggio dei soldi ripuliti al Nord, tra metaverso e darkweb. Nelle aree a «forte sofferenza economica» invece i boss vanno a caccia di appalti pubblici e dei soldi arrivati con Recovery Fund e Pnrr grazie a nuove strategie di «silenziosa infiltrazione» a base di «strategie subdole» e raffinate corruttele, per dirla con la relazione semestrale della Dia circolata ieri nelle redazioni. Certo, su alcune ricette Saviano e Gratteri sono agli antipodi: «La cocaina andrebbe legalizzata, solo così si bloccherebbero i pozzi di petrolio delle organizzazioni criminali», è la tesi dello scrittore. «Certe persone mi fanno paura perché senza pudore vanno in tv a dire sciocchezze», è la stizzita controtesi.

Senza risposte al disagio delle giovanissimi, che certo Gratteri non può dare, l'attrazione delle paranze per il Bacio feroce dei capibastone è fatale. «Sono preoccupato perché i bambini si nutrono di queste porcherie. Se so che con una serie tv posso nuocere ai ragazzi non la faccio, altrimenti sono uno spregiudicato o un ingordo che voglio solo guadagnare soldi», disse una volta Gratteri (senza nominare né Saviano né Gomorra). Quanto Genny Savastano c'è nel killer del musicista Giovanbattista Cutolo, ucciso per un parcheggio da un ragazzino che certo un camorrista non è? La sua musica avrebbe potuto salvare qualcuno? Probabilmente sì. Servirebbero portatori di cultura, «buoni samaritani», per dirla con le parole di don Maurizio Patriciello, non profeti di sventura che da lontano emettono sentenze» sul blitz di Caivano, diventato per lo scrittore che vive negli Usa «menzogna e propaganda» come «tutto ciò che il sovranismo tocca». Servirebbero esempi, sacrifici, presenza. Nella narrazione di Saviano manca sempre il momento in cui «arrivano i nostri», ma manca soprattutto lui. «Non una volta sola, attraverso la tua pagina, ti ho chiesto di ritornare al Parco Verde di Caivano, non lo hai mai fatto», gli ha ricordato qualche giorno fa il sacerdote su Avvenire.

E anche lì, silenzio.

Perché quel sacerdote ha un peccato mortale inespiabile: si è fatto ritrarre con Giorgia Meloni. E se la colpa di Gratteri fosse la «benedizione» dell'esecutivo? Non sarà che per Saviano la lotta politica è più importante della lotta alla camorra? C'è di mezzo un seggio a Strasburgo?

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