La surreale partita di poker sul filo del regolamento

Alla Giunta delle immunità può finire in parità e la relazione di Gasparri verrebbe bocciata

La surreale partita di poker sul filo del regolamento

Preparate i popcorn. Lo spettacolo in programma in Senato potrebbe offrire anche questo: un senatore leghista che fa da «pubblica accusa» per mandare sotto processo Matteo Salvini. Questione di arabeschi del regolamento. Potrebbe accadere se oggi in Giunta per le immunità tutta la maggioranza scegliesse di non partecipare al voto per evitare di regalare a Salvini la posizione di perseguitato dalla giustizia prima del voto in Emilia. A quel punto il centrodestra si dividerebbe in due: Lega che provocatoriamente si esprime per il processo a Salvini, mentre Forza Italia e Fdi per salvarlo, in coerenza con le proprie posizioni. Finirebbe 5 a 5, che in Senato equivale a una bocciatura. E siccome a essere sottoposta al voto è la relazione del presidente della giunta Maurizio Gasparri che è contro l'autorizzazione a processare Salvini, il leader leghista sarebbe «condannato» a finire sul banco degli imputati. La decisione della giunta, però, è solo un parere che va poi votato dall'aula. Entro il 17 febbraio va poi fissata la discussione in Senato. Ma, bocciata la relazione Gasparri, andrebbe presentata una nuova relazione conforme al parere della giunta, presentata da un senatore individuato dal presidente Gasparri, di solito tra i membri della giunta che hanno votato per l'autorizzazione al processo: cioè un leghista.

È solo l'ultimo controsenso di questa storia che, fin dall'inizio, ha perso ogni aderenza alla realtà, trasformandosi in mera tattica, una partita a scacchi sul nulla. Il caso nasce nel dicembre del 2019, quando il tribunale dei ministri di Catania respinge la richiesta di archiviazione per l'accusa di sequestro di persona chiesta dalla Procura, e invia gli atti alla Giunta per le immunità del Senato chiedendo l'autorizzazione a processare Salvini. Il reato sarebbe stato commesso nel luglio del 2019 in qualità di ministro dell'Interno, per aver bloccato per alcuni giorni lo sbarco di 130 migranti dalla nave Gregoretti della Guardia costiera. Un fatto analogo l'estate precedente era accaduto per nave Diciotti, ma i 5 Stelle, all'epoca alleati di Salvini, si erano dichiarati «complici» del leader leghista e avevano votato contro l'autorizzazione al processo. Ora che la Lega è il nemico, i 5s cambiano opinione. Il leader Luigi Di Maio giustifica il voltafaccia con le mutate condizioni: nel caso Gregoretti sarebbe «solo propaganda», perché all'epoca la redistribuzione dei migranti in altri Paesi europei era automatica. Dal punto di vista giuridico non ha senso: ritardare lo sbarco o è sequestro o non lo è. La differenza di motivazione «politica» non può pesare sulla qualificazione del reato. Non solo: pochi mesi dopo il caso Gregoretti, quando già governano i giallorossi, si tiene il vertice di Malta che dovrebbe sancire la ripartizione automatica dei migranti, presentato dai demostellati come grande successo diplomatico. Se ne conclude che in precedenza l'automatismo citato da Di Maio non c'era.

Non essendoci alcuna motivazione giuridica, la partita si gioca tutta a colpi di regolamenti e mosse tattiche a volte incomprensibili. Spesso, contrarie ai principi di chi le fa.

E tutto in base all'assunto arbitrario che il caso Gregoretti sia decisivo per il voto in Emilia. Tant'è che in Senato c'è chi scherza: «Come no? Anche Khamenei in Iran e Haftar in Libia aspettano il voto sulla Gregoretti con il fiato sospeso».

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