Verità ancora prima che giustizia. A chiederla sono i genitori di Ugo Russo, ucciso la notte del 29 febbraio 2020, nei pressi del borgo di Santa Lucia, a Napoli, mentre insieme a un complice cercava di rapinare l'orologio a un carabiniere fuori servizio, che era in auto con la fidanzata.
Ieri il gup Tommaso Perrella ha rinviato a giudizio il militare accusato dell'omicidio volontario aggravato del quindicenne, nato e cresciuto nei Quartieri Spagnoli. La decisione è giunta a distanza di due ore dalla fine dell'udienza, durante la quale le parti hanno esposto le loro tesi e i pm della Procura di Napoli, Simone de Roxas e Claudio Siragusa, hanno chiesto il processo per il carabiniere. L'imputato ha sempre sostenuto di avere sparato per legittima difesa, in quanto l'aggressore gli aveva puntato contro un'arma. In realtà il quindicenne impugnava una pistola replica senza tappetto rosso.
Il carabiniere, anche ieri, ha ripetuto la stessa versione nel corso di dichiarazioni spontanee rese in aula. Ma secondo l'accusa, Ugo Russo sarebbe stato colpito tre volte (alla spalla, allo sterno e alla testa) in due distinti momenti di fuoco, ovvero quando il carabiniere era in auto e quando ha guadagnato l'uscita dalla macchina. Questo ha fatto scattare la richiesta di processo per omicidio volontario. Ora la parola passa ai giudici della corte d'Assise che dovranno valutare come sono realmente andati i fatti.
A seguire l'udienza ieri, come era già avvenuto per le altre tappe del procedimento, c'erano anche i genitori della giovane vittima. La mamma del ragazzino alla vista del militare ha accusato un malore. Il marito l'ha accompagnata fuori dall'aula 419 e poco dopo si è ripresa, grazie all'intervento dei medici dell'Asl di stanza in Tribunale.
All'esterno del palazzo di giustizia, come era già avvenuto in passato, c'erano gli attivisti del Comitato «Verità e Giustizia per Ugo Russo», che hanno esposto uno striscione con la foto del ragazzo e con un megafono hanno richiamato l'attenzione dei passanti, auspicando che in vista dell'udienza del 12 luglio, il militare venga immediatamente sospeso dal servizio.
«Chiediamo la verità su ciò che è accaduto - ha detto il padre di Ugo -. Abbiamo sempre avuto pienamente fiducia nella magistratura. Oggi dopo quasi tre anni e mezzo torniamo a casa con la speranza di sapere quella sera cosa è veramente successo». «Noi viviamo 24 ore su 24 con Ugo - ha aggiunto - lui non era il ragazzo di quella sera e lo vogliamo dimostrare. Non ci siamo mai arresi e ringraziamo chi vi è stato vicino. Non siamo come ci hanno rappresentato e non è giustificabile in alcun modo la reazione che ha avuto il carabiniere: mio figlio è stato ucciso». Disperata anche la mamma di Ugo: «Ho visto lui in aula e ho pensato a mio figlio che non c'è più, e mi sono sentita male, perché il carabiniere è stato il suo giustiziere». Critico invece Antonio Serpi, segretario generale del Sim carabinieri. «In un Paese al contrario un carabiniere indagato non fa più notizia, anche se al carabiniere gli puntano un'arma per rapinarlo - ha commentato -.
Se il rinvio a giudizio per la morte di Ugo Russo non mi stupisce, mi preoccupa, però, la paura che quotidianamente accompagna le nostre donne e uomini in divisa, che prima di difenderci da malintenzionati devono pensare al risvolto giudiziario che li attende».
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