Certamente è un record. Forse è un Leonardo. Ma c'è chi sostiene che si tratti di un dipinto della sua bottega, non autografo del genio di Vinci. Il «Salvator Mundi» battuto da Christie's martedì per 450,3 milioni di dollari (diritti d'asta inclusi) ha infranto qualsiasi record di prezzo precedente per un'opera d'arte. Chi era rimasto sorpreso per i 300 milioni di dollari pagati nel 2015 per «Interchange», tela di Willem De Kooning, maestro dell'espressionismo astratto, o dalla cifra analoga circolata nel 2014 per un Gaugin, il «Nafea Faa Ipoipo», realizzato a Tahiti nel 1892 (ma che poi si scoprì essere stato venduto per «soli» 210 milioni di dollari), davanti al nome di Leonardo si sentirà magari rassicurato, a fronte della cifra-monstre.
È la rivincita degli antichi maestri sugli astri dell'arte contemporanea, ma il roboante processo di auto-promozione con cui il quadro ha raggiunto questa cifra-record ha comunque a che fare con dinamiche che somigliano molto a quelle delle pop-art. «Il Salvator Mundi? È diventato buono», chiosa sagace Vittorio Sgarbi, alludendo proprio alla grande operazione di «lancio» che ha sospinto il dipinto, messo in vendita dal fondo di famiglia del miliardario russo Dmitri Rybolovlev, che lo comprò nel 2013 per 127,5 milioni di dollari. L'opera è stata vista da oltre 30mila persone, tra Hong Kong, Londra, San Francisco e New York, nella mostra itinerante che ha preceduto l'asta.
L'opera ha fatto la sua apparizione a metà dello scorso decennio. Ceduta in una vendita immobiliare, venne sottoposta ai curatori di diversi musei americani, senza suscitare troppo interesse, sino a quando venne mostrata a quattro studiosi convocati dal direttore della National Gallery: i milanesi Pietro Marani e Maria Teresa Forio, esperti di Leonardo, Carmen C. Bambach, curatrice del dipartimento di grafica del Metropolitan Museum, e Martin Kemp, professore emerito di storia dell'arte a Oxford (il primo ad aver creduto a un'altra aggiunta recente al catalogo di Leonardo, la pergamena della «Bella Principessa»). Dopo il parere positivo dei quattro studiosi l'opera è stata sottoposta a un restauro, che ha portato all'eliminazione di una serie di ridipinture, da cui è emerso un dipinto in cui la somiglianza ad altre opere certe di Leonardo è parsa decisamente più stringente, a partire dai valori luministici e dallo sfumato. Secondo la ricostruzione storica, Leonardo avrebbe realizzato la tavola del «Salvator Mundi» nel 1499, a Milano, poco prima della caduta di Ludovico il Moro e dell'entrata in città delle truppe francesi. Ne esistono alcuni studi, tra cui quelli conservati nel Castello di Windsor, e la memoria iconografica in un'incisione realizzata a metà del XVII secolo da Wenceslaus Hollar, che la copiò probabilmemte mentre si trovava nelle collezioni di Carlo I d'Inghilterra.
Tra coloro che sin dal 2011 si è pronunciato contro l'autografia della versione passata in asta da Christie's c'è Carlo Pedretti, probabilmente il maggior esperto vivente di Leonardo, che ha sempre guardato con maggior interesse un'altra redazione dello stesso soggetto, quella che si trova nelle collezioni parigine del marchese de Ganay. L'opera riapparve nel corso del XIX secolo nelle raccolte di sir Francis Cook, ed è oggi per lo più considerata un prodotto della bottega di Leonardo, forse del Boltraffio.
Tra chi contesta l'attribuzione del «Salvator Mundi» c'è Walter Isaacson, che ha da poco pubblicato una biografia di Leonardo, e che ha rilevato come il braccio e le vesti di Cristo che vediamo dietro la sfera di vetro non
siano deformate come dovrebbero essere. Un'imperfezione che difficilmente sarebbe sfuggita a un osservatore maniacale degli effetti ottici qual era Leonardo, e che semina di thrilling il finale di questa vendita da record.
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