Travaglio e Dibba, due schiaffi a Conte. Quello strano viaggio a Mosca del 5S

Il "Fatto" e l'ex onorevole scaricano il "leader guerrafondaio". Le relazioni di Petrocelli con l'omologo parlamentare russo

Travaglio e Dibba, due schiaffi a Conte. Quello strano viaggio a Mosca del 5S

Destro e sinistro. Il leader del M5s Giuseppe Conte rimedia un doppio ceffone (Di Battista-Travaglio) dopo il via libera all'invio delle armi all'Ucraina per la difesa contro l'avanzata delle truppe russe. Passa la linea draghiana, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio gode come un riccio. Mentre il capo grillino è costretto a spiegare la virata pro Draghi per placare la rabbia di Travaglio e Di Battista. Il direttore de Il Fatto Quotidiano, vero ideologo del Movimento nell'era contiana, «bastona» la svolta militarista della sua creatura. Anzi, Travaglio va oltre: si lancia nel pubblico elogio dello sconosciuto (fino a due giorni fa) presidente della commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli - «bravo»; l'unico nel M5s a votare contro la risoluzione che autorizza il governo italiano all'invio delle armi ai militari ucraini.

Per Travaglio, Petrocelli è un eroe. Conte (fino due giorni fa pupillo e coccolato) quasi un traditore.

È notte fonda per l'avvocato del popolo, scaricato dal suo padre nobile.

Ma stavolta Conte non può reagire. Non può difendersi. Deve solo ribadire la linea: «Non mi sono mai sognato di mettere in discussione la nostra collocazione euroatlantica e la nostra collocazione di fedeltà ovviamente e armonia con quello che era l'indirizzo politico europeo».

E sul caso Petrocelli minimizza: «Per la questione del conflitto ucraino, è una questione che non abbiamo toccato a cuor leggero perché sarebbe infantile avviare una caccia alle streghe nei partiti. Sono decisioni che toccano le coscienze e i valori più profondi. Nessun parlamentare avrebbe mai immaginato di dover votare sull'invio di armi e ieri il Parlamento in generale è stato compatto. Nel M5s c'è stato un solo voto contrario, in altri partiti della maggioranza ce ne sono stati di più. Non mi sognerei mai di dire che si tratti di posizioni tenere verso Putin o a favore di quanto sta accadendo».

L'ipotesi delle dimissioni di Petrocelli non sembra sul tavolo: martedì prossimo la commissione si riunirà per affrontare la questione.

Però emergono nuovi particolari sui legami tra il presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama e la Russia: in particolare una visita nel giugno del 2019 di Petrocelli, in qualità di presidente della commissione, a Mosca per uno scambio istituzionale con il suo omologo, il presidente della Commissione Affari Esteri del Consiglio della Federazione russa, Konstantin Kosachev. Nella relazione finale del viaggio - come riporta l'Adnkronos - agli atti del Senato, viene evocata la possibile neutralità dell'Ucraina e si auspica la ripresa, al più presto, di un dialogo strategico tra l'Unione europea e la Russia. Viaggio che ora viene riletto alla luce della posizione assunta in Aula da Petrocelli.

Il secondo ceffone a Conte arriva dall'altro ideologo del nuovo corso grillino: Di Battista.

L'ex parlamentare scende in campo per bacchettare i suoi ex colleghi. Il messaggio è diretto a Conte: «Con l'invio di armi in Ucraina, di fatto, l'Italia entra in guerra».

E poi eccola la sorpresa. Dibba la pensa come Renzi: «L'Unione europea dovrebbe incaricare ufficialmente Angela Merkerl della mediazione con la Russia con l'obiettivo di raggiungere presto un accordo. La Merkel è indubbiamente autorevole.

La Merkel conosce Putin molto bene. È l'Europa che dovrebbe mediare coinvolgendo altri Paesi (tra i quali la Cina). Non il contrario».

Conte è nel panico totale. Mollato da Travaglio. Tradito da Di Battista che se ne va a braccetto con Renzi.

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