La tristezza del Papa

L'allarme di Francesco sulla tentazione della malinconia: "Attenti a quella senza speranza, è un demone subdolo. È come masticare una caramella amara"

La tristezza del Papa
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È un Bergoglio crepuscolare, quello che parla all'udienza generale del mercoledì nell'aula Paolo VI. Un Bergoglio che parla di tristezza e che forse mette un tocco di autobiografismo in un racconto accorato, lui che a 87 anni, pieno di acciacchi e ormai diviso tra il bastone e la sedia a rotelle e addolorato dalle guerre che perlustrano l'Europa e il Medio Oriente, sembra aver perso quella carica innovativa che caratterizzò la prima stagione del suo pontificato.

Chissà che quindi Francesco non abbia pensato un po' a sé ammonendo i fedeli a prestare attenzione alle «prove che generano in noi tristezza che tutti noi attraversiamo», perché «la vita ci fa concepire sogni che poi vanno in frantumi». Quello di cui il pontefice parla, in realtà, ha più i tratti della depressione, un abisso spesso senza fine, che quelli della malinconia, un sentimento che può anche essere fertile. «La tristezza - spiega - è come il piacere del non piacere. Essere contento che questo non sia successo, come prendere una caramella amara, amara, amara senza zucchero».

Francesco un po' legge e un po' va a braccio, è chiaro che il tema gli sta a cuore. Parla di «un vizio un po' bruttino», di «un abbattimento dell'animo, un'afflizione costante che impedisce all'uomo di provare gioia per la propria esistenza», di «una malattia dell'anima che nasce nel cuore dell'uomo quando svanisce un desiderio o una speranza».

In realtà Bergoglio pare mescolare dinamiche differenti, probabilmente la psicologia parlerebbe di generalizzazioni, di semplificazioni. Da un lato ci sono quelli che sprofondano nella tristezza in seguito «all'esperienza della perdita». Può essere «il desiderio di possedere una cosa che invece non si riesce a ottenere; ma anche qualcosa di importante, come una perdita affettiva. Quando questo capita, è come se il cuore dell'uomo cadesse in un precipizio e i sentimenti che prova sono scoraggiamento, debolezza di spirito, depressione, angoscia». Non tutti però reagiscono allo stesso modo: «Qualcuno, dopo un tempo di turbamento, si affida alla speranza; ma altri si crogiolano nella malinconia, permettendo che essa incancrenisca il cuore. Certi lutti protratti, dove una persona continua ad allargare il vuoto di chi non c'è più, non sono propri della vita nello Spirito». Poi ci sono le tritezze più mefitiche, «certe amarezze rancorose, per cui una persona ha sempre in mente una rivendicazione che le fa assumere le vesti della vittima», ciò che «non produce in noi una vita sana, e tanto meno cristiana. C'è qualcosa nel passato di tutti che dev'essere guarito. La tristezza, da emozione naturale può trasformarsi in uno stato d'animo malvagio».

Papa Francesco continua parlando di un «demone subdolo» e ricorre a un'immagine pensata dai «padri del deserto» che descrivevano questo sentimento «come un verme del cuore, che erode e svuota chi l'ha ospitato. Questa immagine è bella e ti fa capire. Dobbiamo stare attenti a questa tristezza e pensare che Gesù porta la gioia della Resurrezione».

Poi è il momento dei consigli: «Ma cosa devo fare quando sono triste? Fermarti e vedere se questa è tristezza buona o tristezza non buona e reagire secondo la natura della tristezza. Non dimenticatevi che la tristezza può essere una cosa molto brutta che ci porta a pessimismo, a un egoismo che difficilmente guarisce».

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