Il trucco dei pm sulla mafia per aggirare la prescrizione

Il reato di corruzione può diventare scambio elettorale politico-mafioso, e in questo caso i termini sarebbero più lunghi. Il precedente del caso Cuffaro

Il trucco dei pm sulla mafia per aggirare la prescrizione
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Inchiesta a rischio prescrizione col trucco del 416 ter. Non è passata inosservata la bacchettata che, dalle colonne del Giornale, l'ex leader dell'Anm Luca Palamara ha sferrato contro la Procura di Genova e l'inchiesta che rischia di travolgere il governatore della Liguria Giovanni Toti. La corruzione elettorale contestata all'esponente centrista è stabilita dall'art. 86 del DPR n. 570 del 1970, una norma speciale, un testo unico «che prevede un regime speciale particolarissimo di prescrizione»: due anni, massimo tre. Ne consegue che per fatti dipendenti dalle elezioni del 2020 bisognava contestare eventuali comportamenti delittuosi entro il 2023. Quindi, secondo Palamara, gli eventuali reati commessi da Toti e dai politici coinvolti, al di là che vengano o meno dimostrati, sono già prescritti e dunque estinti.

Possibile che mezza inchiesta sia nata morta? Abbiamo chiesto lumi ad alcuni magistrati antimafia, che non vogliono comparire per rispetto delle indagini dei colleghi. Ma qualcosa ce la dicono: le aggravanti mafiose potrebbero incidere nella durata della prescrizione? Sì, ma dipende dalla contestazione. «Il termine di prescrizione deroga le regole generali. La legge prevede che la prescrizione è uguale alla pena comminabile, che comunque non può essere inferiore ai sei anni. In questo caso c'è una norma speciale, che dice due anni più il 50%, quindi tre anni. Non ricordo altre norme che trasformino il reato elettorale in un reato ordinario né potrebbe farlo un'aggravante. Ammettiamo che la corruzione elettorale adombri eventuali favori ai mafiosi, ex articolo 7. Aumenta la pena, ma cosa cambia? La prescrizione resta di tre anni».

Per quando si possa strumentalizzare e piegare un'indagine che puzza di assalto giudiziario in campagna elettorale sull'altare della lotta alla mafia, c'è anche un altro aspetto. Un altro ex pm oggi a riposo sottolinea le stranezze sul ruolo della Dda. «Si è mossa la Procura ordinaria o quella antimafia? - si chiede il magistrato - ci sono regole di competenza che non possono essere bypassate». La Dda procede soltanto se c'è mafia o terrorismo. «Non posso surrettiziamente procedere per corruzione ordinaria con la Dda, c'è un problema di territorio, ci saranno fatti compiuti anche fuori da Genova, di un altro ufficio al quale tu sottrai le indagini».

Un altro magistrato invece tira fuori il coniglio dal cilindro, un'ipotesi di reato «fluida» che potrebbe saltar fuori adesso, con gli interrogatori in corso, e che servirebbe ad azzerare i rischi adombrati da Palamara sul rischio prescrizione. «La parola magica al posto dell'aggravante di cui all'articolo 7 è il 416 ter. Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all'articolo 416 bis in cambio di soldi o della promessa di erogazione di denaro o qualunque altra utilità è punito con la pena stabilita nel primo comma dell'articolo 416 bis. Se i pm dovessero trovare gli elementi per contestare non più la semplice corruzione elettorale, per quanto aggravata dall'articolo 7 ma lo scambio elettorale politico-mafioso, la prescrizione rientrata dalla finestra uscirebbe dalla porta». Eccolo, l'escamotage possibile in mano agli inquirenti. «Se colui che ha accettato la promessa di voti è risultato eletto scatta la stessa pena del primo comma del 416 bis, aumentata della metà, con interdizione perpetua dai pubblici uffici».

Un'ipotesi simile capitò all'ex

governatore siciliano Totò Cuffaro, cui contestarono l'associazione mafiosa, il cosiddetto «concorso esterno». Poi il capo d'imputazione cambiò e spuntò il 416 ter, ipotesi che resse fino alla Cassazione. A volte (i pm) ritornano.

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