Che Donald Trump non fosse politicamente morto, lo si era capito da tempo. Ma che stesse già guardando all'Europa, in vista di una delle elezioni più attese dell'anno, era forse meno scontato. Invece, digitato il numero dal Vecchio al Nuovo continente, gli è bastato rispondere al telefono, per far gridare allo scandalo.
Dall'altro capo della cornetta, l'ex editorialista del Figaro Éric Zemmour: oggi candidato alle presidenziali francesi col vento in poppa per giocarsi l'accesso al ballottaggio. Si vota il 10 e il 24 aprile. E una Francia che, fino a ieri, vedeva in lui soltanto il «terzo uomo» della destra, probabile meteora capace di far concorrenza al nazionalismo di Marine Le Pen con poche chance di sopravvivere al doppio turno, se lo trova invece più in pista che mai.
Zemmour non è più un oggetto non identificato nel cosmo politico transalpino. Un sondaggio di ieri ha già invertito l'ordine dei fattori: per la prima volta, col 14,5% Zemmour supera la gollista Valérie Pécresse (14%). Mezzo punto. È terzo in due diverse rilevazioni, con Emmanuel Macron in testa (25%). Seconda Marine Le Pen (17,5%). E il colloquio «politico» con l'ex presidente degli Stati Uniti dà al polemista un altro assist per apparire in tv.
«Per vincere, non cambiare linea: anche se i media ti trovano brutale, difendi la tua autenticità e il tuo coraggio, sii sempre sincero». Queste le parole consegnate da The Donald a «Z». Le ha svelate lo stesso Zemmour, inseguito per avere conferme sul vis-à-vis: «Una mezz'ora», dice con falsa modestia. Nella video-chiamata, durata in realtà 45 minuti (con interprete): migranti, sicurezza, economia e dimensione internazionale. «Non indietreggiare dalle tue idee», il consiglio dell'ex presidente.
Il polemista ammette d'essere stato folgorato dalle parole di Trump sull'immigrazione. Non un endorsement, come quello di Obama per Macron nel 2017: «En Marche! Vive la France!», disse il democratico americano in video a pochi giorni dal secondo turno per l'Eliseo. È però «l'inizio di un'amicizia», chiarisce lo staff di Trump.
Panico all'Assemblée francese. «Non vogliamo il trumpismo per la Francia, quel populismo di estrema destra che ha portato alla divisione della società americana», tuona il deputato centrista di Agir Pierre-Yves Bournazel, condannando la telefonata. «Mi ha detto di restare me stesso», insiste Zemmour a 53 giorni dal voto. «Abbiamo una cosa in comune, che gli Usa restino gli Usa e che la Francia resti la Francia». Entrambi outsider in politica con carriere diverse alle spalle, Trump è un modello per «Z». Come fece The Donald in America, Zemmour punta ad attirare i voti dei Républicains (che in teoria dovrebbero scegliere Pécresse). La mina è pronta a esplodere in una campagna elettorale appena iniziata.
A Le Pen, sua avversaria N.1, Zemmour ha già rubato pezzi del Rassemblement National. Ieri l'ha umiliata: «Ognuno ha la sua possibilità nella vita...», ha detto a chi ricordava come nel 2017 «BleuMarine» mancò l'incontro (cercato) col tycoon americano. Si fermò alla caffetteria della Trump Tower, salì in ascensore ma non trovò Trump a New York. Niente foto. Pochi ganci. Caos. Papà Jean-Marie nel 1987 strinse la mano a Reagan. Scatto storico. Lei fece una figuraccia. Così il duo Trump-Zemmour scassa la campagna transalpina, e mostra come potrebbero cambiare gli scenari.
Trump avrebbe accettato pure l'incontro di persona. Viaggio in Florida complicato. Colloquio quindi via cavo. Embrione di special relationship. Discorsi ultra-patriottici. Mentre Le Pen e Pécresse (in)seguono. E Zemmour impone i temi in agenda.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.