Rilanciare il processo di normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita. È il pallino di Donald Trump e resta la priorità della macro agenda mediorientale del presidente americano, che oggi con il primo ministro Benjamin Netanyahu potrebbe spingersi anche a un nuovo annuncio spartiacque per la regione, per estendere anche a Riad gli accordi di Abramo e il riconoscimento formale della sovranità di Israele, secondo anticipazioni del quotidiano israeliano Haaretz. È previsto per le 16 (le 22 italiane) l'attesissimo incontro a Washington fra Trump e Netanyahu, primo leader straniero alla Casa Bianca dopo la rielezione del tycoon mentre ieri sera Bibi ha incontrato Elon Musk, braccio destro del tycoon.
Il presidente Usa guarderà un documentario sul massacro del 7 ottobre prima di vedere Netanyahu, mentre occhi ed energie sono puntati sul secondo round di colloqui che dovrà portare alla fase due dell'accordo di tregua tra Hamas e Israele, attesa per inizio marzo, nella speranza che il conflitto si chiuda in maniera permanente. Il premier israeliano, approdato domenica a Washington e la cui ripartenza è stata posticipata a sabato per le numerose richieste di incontro con funzionari americani, ha visto ieri a Washington l'inviato dell'Amministrazione americana in Medio Oriente, Steve Witkoff, dopo due settimane di cessate il fuoco a Gaza e la liberazione di 13 ostaggi sui 33 attesi entro le prime sei settimane.
L'intesa di cessate il fuoco mediata da Usa, Egitto e Qatar ha fissato a ieri il via alle trattative per definire il meccanismo della seconda fase. Netanyahu ha deciso di non inviare all'incontro David Barnea, il capo del servizio segreto interno Mossad, mentre valuta di sostituire dalla squadra negoziale il leader dello Shin Bet, il servizio d'intelligence per l'estero, Ronen Bar, con il ministro degli Affari strategici, Ron Dermer, fedelissimo nato a Miami e cresciuto negli Usa.
Trump parla di «progressi» nei colloqui, Hamas ha informato i mediatori di essere pronto per i negoziati, ma a Israele preme definire con gli Stati Uniti le linee guida principali della trattativa. Netanyahu punta a «ridisegnare la regione» e a ricevere conferma del pieno supporto di Washington per perseguire lo «sradicamento» di Hamas e anche per rispondere alle spinte politiche interne. Il centrista Benny Gantz ritiene infatti che la Striscia di Gaza «non debba essere ricostruita prima di essere smilitarizzata». L'ultradestra del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che dopo la tregua non si è dimesso dal governo come Ben Gvir ma ne minaccia la tenuta, si dice favorevole al rilancio degli accordi di Abramo con l'Arabia saudita, ma chiede che l'intesa non sia basata «su bugie» e non vada «a scapito della sicurezza dei residenti di Israele» o contro gli obiettivi di guerra di «distruggere il potere militare e governativo di Hamas, eliminare la minaccia e restituire tutti i rapiti». Ecco perché, se davvero l'annuncio sull'estensione dei Patti di Abramo arriverà, resta un mistero se conterrà dettagli concreti.
La tregua a Gaza regge per ora, anche se Trump ammette che non c'è «nessuna garanzia che tenga». Nel frattempo la Cisgiordania - dove è in corso l'operazione militare israeliana «Muro di Ferro» - è sempre più una polveriera.
Per l'agenzia palestinese Wafa, un gruppo di coloni ha assaltato la sede Unrwa (l'agenzia per la protezione dei profughi palestinesi) a Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est. E l'Autorità nazionale palestinese (Anp) accusa Israele di «pulizia etnica»
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