Tutti contro la "Dignità". E Di Maio promette 13 milioni di occupati

Il ministro: "Con i giusti investimenti...". Conte tenta di placare la rivolta delle aziende

Tutti contro la "Dignità". E Di Maio promette 13 milioni di occupati

Neppure il tempo di mandare il suo primo decreto in Parlamento, e già il capo del governo Giuseppe Conte deve precipitarsi a garantire che no, il suo esecutivo non ce l'ha con le imprese e non vuole penalizzare chi il lavoro lo crea.

Assiso nella sala stampa di Palazzo Chigi accanto al suo giulivo vice Luigi Di Maio, contento di aver rubato per un giorno la scena ad un Salvini che sul tema si è defilato, Conte cerca di tenere a bada il coro di critiche che da Confindustria in giù ha subito investito il cosiddetto decreto dignità: «Non siamo in contrasto col mondo imprenditoriale - prova a indorare la pillola - anzi adotteremo misure per incentivare l'azione delle imprese. Vogliamo una sana alleanza con il mondo imprenditoriale». Gli fa eco anche Di Maio: «Saremo sempre dalla parte degli imprenditori, anche diminuendo il costo del lavoro che consentirà posti meno precari e più stabili», promette per un indefinito futuro in cui - dice - «le persone torneranno ad essere persone e non più numeri e indici». Lasciando trapelare il dubbio che numeri e indici sull'occupazione, probabilmente, non risentiranno in positivo del decreto. Per ora, però, a sentire associazioni datoriali ed esperti, il provvedimento spot voluto dai Cinque Stelle per dare - asserisce Di Maio - «un colpo mortale alla precarietà», creerà solo nuovi oneri e maglie burocratiche che abbatteranno i contratti a termine, senza incentivare il posto fisso. Ma il vicepremier si mostra ottimista e parlando in mattinata alla Conferenza nazionale dei servizi della Cisl si sbilancia in avventurose previsioni: «Se saremo bravi ad investire nei settori giusti e ad abbassare il costo del lavoro in maniera selettiva nei settori che sono competitivi, possiamo creare circa 13 milioni di posti di lavoro». Circa, milione più milione meno. «In sei-sette anni», aggiunge prudente. Poi ci ripensa: «Ovviamente non sto qui a dire che creeremo 13 milioni di posti - si autosmentisce - anche perché già è andata male a chi ne ha promesso uno, figuriamoci 13 che porta pure male», chiosa scaramantico da buon partenopeo, mentre in platea lo osservano interdetti. In ogni caso, rivendica soddisfatto, «ora diranno che siamo un governo di sinistra».

Intanto le critiche delle opposizioni si aggiungono a quelle delle associazioni datoriali. Duro l'ex premier Paolo Gentiloni: «Il mini decreto di ieri non favorisce gli investimenti e il lavoro di qualità. Introduce soltanto ostacoli per lavoro e investimenti. Lasciamo stare la dignità». Il reggente Dem Martina prevede «aumento dell'evasione e dei contenziosi, con un effetto caos a svantaggio dei lavoratori». «Altro che dignità, si torna al lavoro nero», incalza Matteo Orfini. Non meno negative le reazioni di Forza Italia: «Il decreto in-dignità è stato dettato da Cgil e copiato da DiMaio: è un passo indietro mortale per le nostre imprese», dice Giorgio Mulè. È un «attacco violento a chi fa impresa», incalza Mariastella Gelmini.

Nella conferenza stampa di Palazzo Chigi il ministro del Lavoro evita di ripetere le sue mirabolanti promesse di 13 milioni di posti, piuttosto - insieme a Conte - assicura che la maggioranza è compatta e che le perplessità della Lega sugli effetti del decreto non ne mettono in discussione la «coesione»: «Con la Lega stiamo facendo un buon lavoro di sinergia»,

dice. E Conte prova a spostare l'attenzione sul meno controverso limite alle pubblicità delle scommesse, contenuto nel decreto, esaltando quella che chiama «lotta all'azzardopatia»: «Non vogliamo più forme di dipendenza».

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