Durante una guerra, piaccia o no, di atti barbari, inumani e raccapriccianti ne succedono tanti. Fa parte della natura stessa di un conflitto: c'è qualcuno che spara e qualcuno che muore. Crudele e inevitabile. Ma se a morire è un uomo o una donna in divisa, qualcuno che per scelta o per costrizione è comunque deputato a combattere, lo si può tollerare. Ma quando a morire è un civile, uno che quel conflitto non lo ha voluto né appoggiato ma soltanto subito, le cose cambiano. E diventano inaccettabili quando la guerra racconta storie come quella capitata nel Kherson. Una famiglia in auto, probabilmente per allontanarsi quanto più possibile dalla zona calda dei combattimenti. Una pattuglia dell'esercito russo che incrocia l'auto e senza nessuna verifica inizia a sparare. Il padre e il figlio di 14 anni vengono uccisi, la piccola di 5 anni che sedeva sul sedile posteriore rimane ferita. Le è stato amputato il dito di una mano. Barbarie. Come altro chiamare atti del genere? La storia è stata raccontata da Yevhen Ryshchuk, il sindaco di Oleshky nella regione del Kherson, aggiungendo che «le truppe russe sono molto nervose e sparano a tutti coloro che pensano rappresentino una minaccia». Cosa che con la guerra non ha nulla a che vedere.
Eppure la guerra porta alla luce storie che sembravano avere dell'assurdo. Che magari vanno filtrate dall'inevitabile dose di propaganda ma che assurde restano. Secondo quanto riporta l'intelligence di Kiev infatti, la compagnia russa Wagner, impegnata a costruire trincee per arretrare la linea del fronte nel Sud del Paese, ha iniziato a reclutare in massa detenuti anche con gravi malattie come Hiv ed epatite C. Sarebbero più di cento i prigionieri malati che sono stati reclutati nella colonia correttiva, leggasi carcere in stile gulag, nel villaggio di Metalostroy. Non solo. Temendo rischi di contagio, soprattutto in caso di ferimento in battaglia, i prigionieri-soldati sarebbero stati costretti a indossare braccialetti rossi se affetti da Hiv e bianchi se malati di epatite. Tra l'incredibile e il drammatico, spuntano anche storie di speranza. Come quella di Bohdan, un bimbo di 8 anni salvato dalla polizia ucraina. In un bombardamento ha perso entrambi i genitori (la madre era incinta di 7 mesi), vagava da solo per le strade di Bakhmut, nel Donetsk, quando è stato trovato e portato al sicuro.
Intanto, sul campo, continua l'allerta su una possibile escalation nucleare. Mentre Mosca continua ad accusare Kiev di voler usare bombe sporche nel conflitto, (accusa respinta e smentita dal mondo intero), da oggi partono le esercitazioni russe nella penisola di Kola a cui parteciperanno anche forze strategiche nucleari, compresi i sottomarini d'attacco. E non è escluso che vengano testati dei missili. Gli ucraini accusano i russi: «Utilizzano munizioni al fosforo, vietate dalla normativa internazionale, nel Donetsk». Si tratta di armi che «non solo bruciano tutti gli organismi viventi, ma sono anche estremamente velenose per l'ambiente», denuncia la guardia nazionale ucraina. Intanto, nella più grande centrale nucleare d'Europa, a Zaporizhzhia, segnalate attività sospette da parte degli ufficiali russi che hanno preso il controllo della centrale. L'ipotesi è che sia in preparazione un attacco con «materiali nucleari e scorie immagazzinate presso l'impianto».
Vladimir Putin torna a parlare e lancia un avviso ai suoi: «Dobbiamo accelerare il processo decisionale in relazione all'operazione militare speciale in Ucraina», ha detto, chiedendo più coordinamento tra strutture. Messaggio recepito al volo dal suo cane da guardia in Cecenia, Ramzan Kadyrov: «Se un proiettile è volato nella nostra direzione, nella nostra regione, dobbiamo spazzare via le città ucraine dalla faccia della Terra. Per vedere l'orizzonte lontano.
Perché capiscano che non possono nemmeno pensare di sparare nella nostra direzione», aggiungendo che secondo lui «la nostra risposta è debole». Andasse a raccontarlo alla famiglia spezzata nel Kherson o al bimbo rimasto orfano nel Donetsk. Quando la barbarie diventa assurda e mira invece ad essere normalità. Ma non lo è.
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