Vacanze, hotel, biglietti gratis a stadi e teatri. Finisce agli arresti il generale dei carabinieri

Domiciliari per Liporace, ex comandante provinciale a Padova, per appalti. Nei guai un dirigente del Mit, la fiducia di Salvini

Vacanze, hotel, biglietti gratis a stadi e teatri. Finisce agli arresti il generale dei carabinieri
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Quando l'imprenditore li incontrava per discutere gli appalti, si presentavano come «Alfa», «Beta», o come «Colonnello Esposito», che sa di pseudonimo lontano un miglio. Per forza: erano tutti funzionari dei servizi segreti. E gli appalti truccati erano quelli per le pulizie e le mense nelle sedi sotto copertura dei nostri 007. Ora anche quegli appalti finiscono nell'ordine di custodia che ieri manda agli arresti domiciliari l'imprenditore romano Emilio De Villis e il generale dei carabinieri Oreste Liporace, già comandante provinciale a Padova e a capo della scuola allievi dell'Arma a Velletri.

L'inchiesta della Procura di Milano, condotta dal pm Paolo Storari, è centrata su una azienda specializzata in appalti pubblici, la Fabbro, già finita nei guai per le tangenti a un funzionario della Fiera di Milano. Willam e Massimiliano Fabbro, padroni della azienda, dopo l'arresto un po' hanno «cantato», e soprattutto hanno cantato i loro smartphone e computer, da cui sono saltati fuori i loro contatti sia con il generale Liporace che con l'imprenditore-faccendiere De Villis, loro ambasciatore nel mondo degli appalti romani: compresi quelli del Vaticano e dei servizi segreti.

Liporace è un personaggio notevole: nel 2013 doveva diventare comandante dei vigili a Roma, l'allora sindaco Ignazio Marino ne magnificò «la straordinaria preparazione scolastica e le grandi doti organizzative e umane», poi si scoprì che non aveva i titoli e fu costretto a un imbarazzante dietrofront. E continuò a fare il carabiniere e la bella vita: nelle carte è raccontata la sua passione per le vacanze a scrocco, le partite della Roma a scrocco, le Luis Vuitton a scrocco e i posti alla Scala (9 dicembre, seconda replica del Macbeth) ovviamente a scrocco. A pagare erano i Fabbro, cui il generale garantiva l'affidamento senza gara degli appalti per la pulizia, la mensa e i distributori automatici nella caserma di Velletri. Ma il pm Storari sospetta che avesse anche altre entrate illecite, tanto da potersi permettere - quando saliva a Milano - di alloggiare al Bulgari, hotel cinque stelle lusso. Uomo, come si intuisce dalla candidatura a capo della polizia di Roma Capitale, di mille relazioni: nell'inchiesta saltano fuori frequentazioni amichevoli e cene con Edward Luttwak, americano, grande esperto di servizi segreti. Il generale si dà da fare per i suoi «amici» milanesi anche mettendoli in contatto con Antonello Velardi, uomo importante del Pd in Campania, sindaco a due riprese di Marcianise, che lo avvisa per tempo dell'apertura del bando per una mensa.

Ad arrestare materialmente Liporace sono stati, come da galateo istituzionale, i suoi colleghi del Ros. Il cuore dell'inchiesta è però stato gestito dalla Guardia di finanza, e sono state così le «fiamme gialle» milanesi a dover ricostruire le relazioni romane dell'altro imprenditore indagato, Emilio De Villis. Che ha una azienda più piccola, ma si muove da esperto nei palazzi del potere e per questo chiede e ottiene di essere pagato dai Fabbro anche quando l'appalto non va in porto.

De Villis non è l'unico a accompagnare i Fabbro negli appalti romani: viene indagato un mediatore, Angelo Guarracino, che si fa dare 37mila euro per oliare un appalto vaticano, vantando relazioni con il segretario del cardinale Francesco Coccopalmerio e con padre Alfonso De Ruvo. De Villis, invece, i risultati spesso li ottiene, come quando schiude ai Fabbro gli appalti dei servizi segreti, 12 milioni di euro in tre anni per sfamare i nostri 007. «È un mondo dove le gare non vengono pubblicate, la concorrenza è inesistente», spiega De Villis ai Fabbro, l'importante è venire invitati. E grazie agli amici di De Villis al Dis, l'organismo che coordina i servizi e ne gestisce il portafoglio, gli appalti arrivano. Chi sia il «gancio» dell'imprenditore tra le barbe finte l'inchiesta non lo ha scoperto, ma di rapporti con le forze di polizia De Villis ne ha sicuramente: nella ditta di suo figlio risulta socio Alfonsoluca Adinolfi, figlio dell'ex comandante generale della Guardia di finanza.

Nei guai finisce anche un alto dirigente del Ministero delle Infrastrutture, Domenico Quinzi, che si fa prestare la casa di De Villis in montagna, e intanto gli affida incarichi da quattro soldi: lo spostamento di un nido di vespe, il trasloco di un orologio.

«Quinzi - dice in serata il suo ministro Matteo Salvini - è un leale e serio servitore dello Stato che al massimo ha il difetto di essere troppo pignolo. L'ho incontrato, sono sicuro che potrà dimostrare rapidamente la correttezza delle sue scelte».

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