
«Oddio è rosso, chissà cosa direbbe Valentino» pensi entrando nel gigantesco bagno pubblico costruito davanti all'Institut du Monde Arab di Parigi dove si svolge la terza sfilata di Alessando Michele per lo storico marchio romano. Mancano i sanitari, ma tutto il resto c'è comprese le porte dei gabinetti da cui poi usciranno uno alla volta modelli e modelle. Le luci al neon nello stesso colore adorato da Monsieur Garavani creano un'atmosfera alla David Lynch anche se a girare un magnifico film nei bagni pubblici di Tokyo è stato Win Wenders con A perfect day. Subito dopo ti viene in mente una frase di Diogene: «Anche il sole entra nelle latrine ma non ne esce contaminato». Poi vedi arrivare Jared Leto che si ferma davanti a un lavandino ed è più bello di Lucifero ma quando gli chiedi perché è qui ti risponde: «Ale è un fratello avuto da una madre diversa». Solo a questo punto capisci che il bagno è una metafora dell'intimità e che questa è una delle sfilate più potenti che si siano mai viste perché in bagno siamo tutti uguali, ma i vestiti hanno il potere di renderci diversi. Inoltre tra la nostra nudità e il resto del mondo c'è solo questo involucro che parla di noi e ci permette d'interpretare il ruolo che ci siamo scelti nella vita. L'immaginifico designer romano spiega infatti che anche la più profonda delle intimità è in fin dei conti un teatro o meglio un meta-teatro nel teatro dell'esistenza. E quindi ecco le ricche signore che Valentino ha sempre vestito nel migliore dei modi giocare con i classici modelli degli anni '60 corti e con il bordo di pelliccia in alternativa ai romantici vestiti pieni di balze e ruche. Poi compaiono quelle sublimi giacche con il logo V sulle tasche che negli anni '80 facevano «formal dress for success» e una serie di abiti da sirena che sembrano lasciare ampie porzioni di corpo scoperto anche se lui giura che tutto è coperto da un velo di pizzo Chantilly. La modella che sfoggia l'equivalente valentiniano del nude look è la meno giovane del gruppo e una delle poche che esce dal gabinetto senza i tiranti applicati sulle tempie e nascosti sotto capelli, cuffie o cappelli per dare a tutte le donne l'aspetto liscio e levigato da medico estetico. Insomma come al solito Alessandro Michele ci fa riflettere con la sua moda e francamente non si può volere di più. Da Balenciaga il designer georgiano che vuole essere chiamato solo Demna, fa un gran lavoro sui codici dell'abbigliamento standard: per uomini e donne che lavorano in ufficio, per studenti, per pendolari o per globe trotters da città. È una cosa che ha già fatto in un'altra occasione ma allora questa apparente normalità sembrava molto speciale, mentre stavolta dallo studio sulla standardizzazione del guardaroba si scivola nello stile della Standa di una volta. Quanto alla parte di collezione in co-branding con Puma siamo sicuri che la gente voglia pagare a caro prezzo una canotta strappata solo perché sull'etichetta c'è scritto Balenciaga? Il successo crescente e meritato delle collezioni Lacoste disegnate da Pelagia Kolotouros dimostra l'esatto contrario: ritrovare le radici di uno storico brand ti rende prima autentico e poi appetibile. Il coccodrillo simbolo di René Lacoste diventa gioiello, motivo jacquard in un bellissimo pullover, abito da sera. Tutto ha un'aria possibile e chic e poi vuoi mettere l'emozione di assistere a un sfilata sulla terra rossa della hall Philippe Chatrier, il campo del Roland Garros dove giocano solo i campioni? Da McQueen Sean McGirr parla delle atmosfere crepuscolari della Londra vittoriana e di dandismo, ma in realtà guarda agli esordi di Alexander McQueen, quando fu catapultato a disegnare Givenchy e veniva criticato dalla proprietà perché faceva scarpe con le punte esagerate e splendidi abiti supersexy per un marchio destinato all'alta borghesia francese. Strepitosa la sfilata di Sacai dove la designer giapponese Chitose Abe trova un nuovo equilibrio nella sua ricerca di nuovi assoluti sartoriali costruendo abiti e gonne che sono la sommatoria dell'intero guardaroba. Anche da Zimmermann c'è uno sforzo di crescita dallo stile girlish a un'immagine più completa di denim, capi in pelle e bigotteria.
Roberta Benaglia presidente del brand e ceo di Style Capital SGR, spiega che ormai le nuove categorie di prodotto lanciate da Zimmermann rappresentano circa il 50% di un fatturato che dovrebbe raggiungere entro luglio i 400 milioni di Euro.
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