Verdini: "Dell'Utri un'icona". E la sinistra perde la testa

Al processo sulla presunta P3 il senatore usa parole di stima per uno dei fondatori di Forza Italia. Frondisti democrat contro il premier: così addio alla nostra identità

Denis Verdini esce dal Tribunale di Piazzale Clodio
Denis Verdini esce dal Tribunale di Piazzale Clodio

Le tegole ormai non si contano più. Il terreno accidentato del governo Renzi sembra un campo minato. L'ultimo «ordigno» è esploso ieri mattina al Tribunale di Napoli dove era in corso il processo sull P3. Protagonista assoluto Denis Verdini. Da tempo il suo nome risuona con imbarazzo e fastidio nelle stanze del Nazareno dove la sinistra del Pd mostra disagio e nervosismo verso i contorni che il partito guidato da Renzi sta assumendo. Lo spettro del Partito della Nazione ormai sembra ricalcato sul sodalizio tra i due toscani Renzi e Verdini. Quindi l'ultima uscita di quest'ultimo a Napoli ha suscitato polemiche e imbarazzo. Parlando di Marcello Dell'Utri, Verdini ha detto: «Era il fondatore di Forza Italia, un'icona e un punto di riferimento per me, una figura carismatica, provavo per lui amicizia e stima». Parole seguite a una domanda del pubblico ministero nel corso del processo che lo vede imputato insieme con altri tra cui lo stesso Dell'Utri e Flavio Carboni. Verdini ha poi definito Carboni «un personaggio vulcanico, pieno di fantasia e di voglia di fare, un po' troppo insistente a volte». Ormai, sembrano dire quei musi lunghi della sinistra interna al largo del Nazareno, l'identità (se mai c'è stata) del partito s'è persa se il nostro più strategico alleato fa un peana su uno dei fondatori di Forza Italia, simbolo quant'altri mai del nemico politico dei Ds prima e del Pd dopo. Insomma la paura è sempre la stessa che attanagliava i dirigenti del vecchio Pci ai tempi del cosiddetto «compromesso storico»: la base potrebbe non capire. E se la base non capisce, la dirigenza tace. Pochi malpancisti hanno il coraggio di parlare apertamente. E la linea per il prossimo dibattito interno la dà Danilo Leva, uno dei parlamentari della sinistra Pd. «Dopo le dichiarazioni di Verdini a proposito di Dell'Utri per Renzi si apre un problema: non si può fare una battaglia per la legalità, dichiarare ogni giorno guerra aperta alla corruzione e poi, nello stesso momento, allearsi con chi si schiera così platealmente a favore di persone condannate per reati tanto gravi». Finché si lamentano quelli della sinistra interna, potrebbero replicare dalla segreteria, è soltanto uno dei tanti siparietti del gioco delle parti. Quando poi, però, sono i renziani a voler mettere i paletti per quanto riguarda l'allenza con l'ingombrante figura di Verdini le cose cambiano. Ancora prima dell'uscita di ieri, il renziano Matteo Richetti, intervistato da Repubblica aveva chiesto al suo omonimo che siede a Palazzo Chigi di togliere ogni ambiguità all'azione politica, distinguendo lavoro sulle riforme, progetto del nascituro Partito della Nazione e azione del governo. «Questa continua confusione tra azione di governo, voto sulle riforme e prospettiva politica del “partito della Nazione” - aveva detto Richetti lunedì scorso - va immediatamente stoppata». D'altronde i tempi per il Partito della Nazione sono ancora lunghi e il problema più urgente a livello politico, soprattutto per i gradi inferiori della dirigenza Pd (quelli cioè che hanno il contatto diretto con il territorio), è rappresentato dal prossimo turno delle amministrative. I tanti problemi per l'individuazione delle candidature vengono letti, dagli analisti più informati, come effetto di questa mancanza di identità.

In aprile alle Amministrative il Pd dovrà ancora chiedere il voto con il suo simbolo ed è possibile un'emorragia del consenso - questa almeno la paura di molti candidati in pectore - se il segretario del partito non fa nulla per prendere le distanze dall'ultimo fan di Dell'Utri.

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