La verità la conoscono in pochissimi. È celata nei contratti che, in barba alla tanto ventilata trasparenza, l'Unione Europea mantiene rigorosamente segreti rispettando gli impegni assunti con le multinazionali del farmaco. Impegni a cui non sa opporsi nonostante le centinaia di milioni di euro versati alle controparti. Soldi pagati in anticipo e utilizzati non solo per garantire la produzione delle dosi, ma anche per finanziare la sperimentazione che ha trasformato quelle aziende in autentici «dominus» delle vaccinazioni anti-Covid a livello globale. Ma quelle «verità nascoste» rappresentano altrettante ferite per la credibilità di un'Unione costretta ora a minacciare severi controlli sulle esportazioni di vaccini prodotti in Europa. Rispondendo alle richieste del ministro della sanità tedesco Jens Spahn Bruxelles studia, infatti, «meccanismi di controllo» simili a quelli istituiti tra marzo e maggio quando bloccò l'esportazione di mascherine e strumenti sanitari prodotti in Europa.
Una manovra a dir poco rischiosa. Quei controlli, oltre ad aprire un possibile contenzioso con Londra e Washington, rischiano infatti di compromettere la credibilità politica di un'Unione pronta a voltare le spalle al libero mercato e ad abbracciare un inedito euro-sovranismo pur di garantirsi gli indispensabili vaccini. Un trasformismo politico ben in linea con la caduta di stile generata dalla sgangherata polemica con Pascal Soriot, amministratore delegato di Astra Zeneca. Considerata fino alla settimana scorsa l' alleata essenziale per la somministrazione in Europa del vaccino anti-Covid giudicato più efficace Astra Zeneca viene ora trattata da Bruxelles alla stregua di una meschina truffatrice. All'origine di tutto c'è il passo indietro dell'azienda che da venerdì garantisce solo il 40 per cento delle forniture di vaccino promesse per il primo trimestre, ovvero 31 milioni di dose a fronte delle circa 80 previste. A incendiare le polveri contribuiscono le spiegazioni di Soriot che da una parte attribuisce i tagli alle disfunzioni degli stabilimenti europei e, dall'altra, ammette di aver accelerato le forniture a Londra in virtù del miglior funzionamento delle linee produttive inglesi. Chi ha ragione? Impossibile dirlo senza vedere i contratti. È singolare però che la mancata fornitura di un prodotto di cui il «cliente» Europa copre non solo i costi di produzione, ma anche di progettazione, possa esser giustificato in base alla ripartizione geografica delle linee produttive di Astra Zeneca. Non meno singolare è però che l'Ema, l'Azienda del Farmaco Europea, preveda di convalidare e omologare solo nei prossimi giorni il vaccino di cui Bruxelles esige la consegna. E a questo confuso scenario s'aggiungono i dubbi sull'efficacia di un vaccino che per semplicità gestionale (non richiede la conservazione a meno 75 gradi come quello di Pfizer) è considerato l'arma più efficace per fermare la pandemia. Secondo indiscrezioni rilanciate dal quotidiano economico tedesco «Handelsblatt» il vaccino di Oxford proteggerebbe solo all'8% gli anziani.
Un deficit immunitario assolutamente inaccettabile conseguenza di test clinici effettuati, come ammesso dalla stessa Astra Zeneca, utilizzando esclusivamente cavie umane comprese tra i 18 e i 55 anni di età.
Quanto basta insomma per distruggere non solo la credibilità di un'Europa incapace di gestire le proprie risorse, ma anche quella di aziende pronte esclusivamente ad incassare. Anche quando i loro interessi mettono a rischio milioni di vite.
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