Verso l'Italia il complice della strage in Tunisia

Un terrorista, morto per la guerra santa, imbottito di cocaina durante la strage e addestrato in un campo in Libia insieme con gli attentatori del museo Bardo di Tunisi. Un altro, il sospetto complice, ora in Libia pronto per salpare su uno dei barconi diretti verso l'Italia. Nel giorno in cui la Tunisia annuncia di aver indentificato tutte le 38 vittime della strage del venerdì di Ramadan in spiaggia a Sousse - 30 britannici, tre irlandesi, un portoghese, due tedeschi, un russo e un belga -, nelle ore in cui entra in vigore il provvedimento di chiusura delle moschee fuori dal controllo statale e mentre Tunisi annuncia il «dispiegamento di oltre mille uomini» armati in diverse zone turistiche, i dettagli che emergono dalle indagini e dalle indiscrezioni sulla strage provano che i tentacoli del terrorismo arrivano dritti al cuore dell'Europa.

Il probabile co-protagonista della giornata di orrore in Tunisia, presunto complice del tunisino Seifeddine Rezgui, 24 anni, che col suo kalashnikov ha sterminato i turisti in vacanza, è un ragazzo di 28 anni, si chiama Rafikhe Tayari, è il maggiore di tre fratelli, studente universitario di affari internazionali, capace di parlare tre lingue, francese, inglese e italiano ma soprattutto - lo svela la sua famiglia alla stampa britannica - con molta probabilità in Libia in attesa di imbarcarsi su una delle carrette del mare per raggiungere l'Europa. La famiglia giura che sia innocente - «tutto è possibile, ma io non cresco i miei figli come criminali», ha detto il padre, un tassista - eppure la polizia tunisina è convinta che il ragazzo abbia aiutato Tayari in qualche modo nell'attacco di Sousse e lo considera «pericoloso». A unirlo all'autore della strage sarebbe proprio la Libia, da tempo ormai anche campo di addestramento degli aspiranti jihadisti. Lì si sarebbe diretto sette mesi fa, senza spiegare alla famiglia dove stesse andando, salvo poi farsi vivo telefonicamente per dire di trovarsi nel Paese, senza dare dettagli sulla località. «I giovani che vanno in Libia per raggiungere l'Europa non lo dicono ai loro genitori perché sanno che cercherebbero di fermarli - ammette il padre -. Ma può darsi che si sia spaventato e abbia deciso di rimanere». La Libia è anche il trait d'union con i terroristi del Bardo, il museo dove a marzo sono rimasti uccisi 24 turisti, tra cui 4 italiani. Qui lo stragista di Sousse li ha conosciuti dopo aver raggiunto in gennaio l'antica città di Sabratha, dove si è allenato alla guerra santa. Ed ecco il dettaglio più disgustoso e rivelatore della strage: l'autopsia e l'esame del sangue post mortem hanno stabilito che l'attentatore di Sousse aveva assunto alte dosi di cocaina nonostante le prescrizioni previste dal Corano e il mese di Ramadan.

«Era fuori controllo, rideva come un pazzo e ogni tanto deponeva il fucile e scattava foto delle vittime con un cellulare». La conferma di una pratica ormai sempre più diffusa fra i combattenti dell'Isis che assumono droghe eccitanti prima di compiere i loro attacchi.

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