Alla vigilia dell'insediamento del nuovo parlamento, giovedì 13, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi hanno ancora qualche nodo da sciogliere sul governo. Potrebbero vedersi oggi o domani, probabilmente a Roma, dove il Cavaliere dovrebbe arrivare nelle prossime ore da Arcore.
Per il centrodestra è la grande occasione e ogni leader cerca di valorizzare il suo partito nella coalizione, il che provoca tensioni. Al centro c'è lei, la premier in pectore, prima donna pronta a fare di Palazzo Chigi casa sua, che dopo il voto ha scelto il profilo basso, senza festeggiamenti e annunci roboanti, ma con la testa immersa nei corposi dossier delle emergenze da affrontare. La leader di Fratelli d'Italia, nella giornata in cui gli eletti cominciano a registrarsi alle Camere, riunisce i suoi a Montecitorio e sottolinea la novità di questa legislatura: «Noi non ci ispiriamo a nessuno, ma vorremmo essere domani un modello per gli altri». A tutti i parlamentari Giorgia chiede «sobrietà, disciplina, competenza, rispetto delle istituzioni». Quanto al governo, ribadisce di voler accelerare al massimo e di volerlo «forte e autorevole». E uno dei più vicini alla leader, Giovanbattista Fazzolari, assicura che il prossimo responsabile del Mef sarà un laureato in Economia e non in Storia com'era Roberto Gualtieri.
Nelle trattative con gli alleati di Lega e Forza Italia la Meloni ha voluto far sentire subito il pugno di ferro senza guanto di velluto. Forse calca la mano perché teme di non apparire all'altezza del ruolo. «Insomma - dicono i suoi - la vittoria è innanzitutto sua, è lei che ha trainato la coalizione al governo. Quindi l'ultima parola è di Giorgia».
Peccato che prima Berlusconi, che il centrodestra l'ha fondato e gestito per tanti anni, poi Salvini che per un periodo si è sentito ad una passo dal cielo, siano abituati a comandare e, pur ridimensionati nei numeri, vogliano ricordare di essere determinanti per avere la maggioranza necessaria.
Il Cavaliere è irritato per le obiezioni della Meloni sulla candidatura a ministro di Licia Ronzulli e il suo messaggio l'ha inviato ieri nell'intervista al Giornale: «Non esistono, non possono esistere, fra partiti alleati, veti o pregiudiziali verso qualcuno. Se questo accadesse, ma non è il caso nostro, non lo potremmo mai accettare». Il leader azzurro ha precisato che Fi «mette a disposizione i suoi migliori parlamentari, da impiegare al meglio nella squadra di governo» e aggiunge che nella scelta non si procede con il manuale Cencelli, ma utilizzando «come primo criterio di scelta l'efficienza, la concretezza, la capacità di lavoro dimostrata nel tempo da ciascun candidato».
Nell'ultimo incontro a tre ad Arcore Berlusconi non ha apprezzato l'atteggiamento dell'alleata che non ha avuto nulla da dire sulla proposta del vicepresidente Antonio Tajani per gli Esteri, ma si è opposta a quella della Ronzulli per la Sanità. Due nomi per il Cav sono in cima alla lista e non intende rinunciare a nessuno. Può accettare per la sua fedelissima, ha fatto sapere alla leader di FdI, solo un ministero di ugual peso, con portafoglio, come l'Istruzione, non certo una posizione di seconda-terza fascia. «Alla Sanità c'è stata la Lorenzin, che titoli aveva più della Ronzulli?», commenta un senatore di Fi. Agli azzurri dovrebbero andare 4-5 ministeri e su quello importante della Giustizia ci sono le candidature di Francesco Paolo Sisto e della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati. La rosa per altri incarichi comprende Annamaria Bernini e Alessandro Cattaneo.
Sul fronte Lega è invece in atto uno scontro per la presidenza del Senato, che nella prima seduta di giovedì dovrebbe essere assegnata.
In pole position c'è Ignazio La Russa, candidato della Meloni, ma Salvini insiste per Roberto Calderoli. Alla Camera, invece, sono corsa i leghisti Riccardo Molinari e Giancarlo Giorgetti. Fabio Rampelli (FdI) entrerebbe solo, ed è difficile, se il Senato andasse alla Lega.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.