Spaccare l'euro in due per salvare l'Unione monetaria: la ricetta circola da anni, e suggerisce una valuta forte per Paesi come la Germania e un'altra svalutabile che finirebbe nelle tasche dei cittadini italiani, francesi, spagnoli, portoghesi e greci. Il Club Med, insomma. Ma l'idea di un euro a doppia velocità si può davvero mettere in pratica?
«L'operazione è tecnicamente fattibile - risponde Marco Giorgino, docente di Finanza aziendale del Politecnico di Milano - ma in prima battuta andrebbero approntate misure per evitare fughe di capitali. Poi, bisognerebbe convertire, per esempio, le attività e le passività che l'Italia ha verso quei Paesi con cui prima condivideva la moneta».
Quali vantaggi darebbe al nostro Paese l'adozione dell'«eurino»?
«All'atto del change over è prevedibile un deprezzamento della nuova moneta, anche se non quantificabile con precisione: ciò porterà a un aumento della competitività delle nostre merci sui mercati internazionali. In buona sostanza, avremmo un immediato effetto benefico sulle esportazioni. Senza tuttavia dimenticare che il nostro Paese importa energia anche dalla Germania e che, quindi, c'è il rischio di un peggioramento del deficit energetico».
Un'alternativa a questa sorta di break up può essere quella di rendere meno stringenti i vincoli del Trattato di Maastricht, così da aiutare la ripresa?
«Certo, potrebbe essere una soluzione. Magari consentendo sforamenti al limite del 3% fra deficit e Pil, a patto che la parte di disavanzo in eccesso venga impiegata per aiutare le imprese attraverso una defiscalizzazione degli investimenti e degli utili reinvestiti».
La Bce, da sola, può bastare a rimettere l'Eurozona su un sentiero di crescita?
«No, per quanto Mario Draghi stia facendo - e bene - la sua parte, la politica monetaria non è sufficiente per recuperare spazi di crescita».
Cosa serve, allora?
«I governi devono essere molto più coraggiosi con le politiche fiscali: solo così è possibile far ripartire i consumi e invogliare le aziende a investire».
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