Polito: ci entrino anche gli ex dc del centrodestra

Laura Cesaretti

da Roma

La scena va in onda nel tardo pomeriggio a Montecitorio: la fassiniana Sereni, vicecapogruppo dell’Ulivo si affaccia sul cortile della Camera, che pullula di deputati dell’Unione. E urla: «Sta per mancare il numero legale, entrate o dobbiamo andare sotto?».
Solo pochi minuti prima, il ministro dei Rapporti con il Parlamento Chiti si sfogava: «È paradossale, ma al Senato dove siamo sul filo del rasoio la maggioranza riesce a tenere, e invece qui, dove non dovremmo avere problemi di numeri, la situazione rischia di sfilacciarsi ogni giorno». La settimana scorsa, sul decreto «milleproroghe», il numero legale è stato garantito solo grazie alla presenza in aula dell’Udc: mancavano ben 55 deputati dell’Ulivo. C’è malessere, nella maggioranza, e lo spettro di un incidente parlamentare incombe: le occasioni non mancano, dal Dpef all’Afghanistan, che a fine mese sarà il primo vero banco di prova dell’«autosufficienza» della coalizione prodiana. E infatti ieri è bastata la «provocazione» del senatore Dl Antonio Polito, ex direttore del Riformista, ad innescare la polemica: «Questa legislatura non finirà con l'assetto con cui è iniziata», preconizza Polito, che in pratica auspica un ingresso dell’Udc non solo nella maggioranza, ma anche nel costruendo Partito democratico. Il ds Caldarola insorge: «Sarebbe uno snaturamento del partito democratico, che costringerebbe la sinistra a uscirne». Anche il prodiano Franco Monaco salta su come una molla: «Auspicare un cambio di maggioranza va contro il patto con gli elettori: sono loro a scegliere maggioranza, programma e premier». Già, il premier, perché il sottinteso di ogni ipotesi di «cambio di assetto» è che Prodi venga sostituito. Da chi? Qui le ipotesi, fantapolitiche o meno, sono molteplici: c’è chi indica D’Alema come possibile fautore di una Grosse Koalition all’amatriciana con Forza Italia, chi sospetta Rutelli di trescare con Casini per mettere all’angolo i Ds, chi guarda a Veltroni come «l’unico capace di coniugare radicali e moderati, come ha fatto a Roma». E spiega che il rinnovato attivismo di Veltroni sul Partito democratico (è di due giorni fa l’intervista all’Unità nella quale ha tracciato un suo manifesto di ciò che deve essere il nuovo partito, posto che ds e Margherita sono ormai a suo parere ferri vecchi) starebbe a dimostrare che il sindaco di Roma annusa l’aria, vede la precarietà dell’attuale governo e si tiene pronto ad ogni evenienza. In tutto ciò, per Piero Fassino le difficoltà si moltiplicano: il Consiglio nazionale ds sul Partito democratico è slittato alla prossima settimana, ufficialmente per le votazioni al Senato. In realtà anche per dare più tempo al segretario di mettere insieme una nuova segreteria, operazione più complessa del previsto, e svelenire il clima interno, trovare un compromesso con il Correntone che minaccia la scissione, evitare scontri dirompenti anche nella maggioranza. Dalla quale si preannunciano interventi critici (da Angius a Violante) che chiederanno di frenare un progetto che rischia di terremotare la Quercia.

E anche un documento, promosso dal laburista Spini ma sottoscritto da molti dalemiani, che dice che i ds non possono rinunciare all’appartenenza al Pse: un chiaro stop alla fusione con la Margherita. «E se viene votato, rischia di avere la maggioranza», prevede Spini.

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