Ci sarebbero le soluzioni per fare di Ponte Lambro una zona migliore, più vivibile, meno isolata. Senza quei gruppi di ragazzi tristi che ciondolano davanti al Cts (Centro territoriale sociale) di via Parea dove, per entrare, bisogna citofonare alla custode. E lei, quando cè (sono più le volte che è assente) controlla attraverso uno specchio se è il caso di aprire o no. I vigili urbani, invece, quelli non si vedono proprio, asserragliati come sono, sempre dentro al Cts. In giro, raccontano di non vederli mai e, quando riescono ad arrivare fino alla porta del loro ufficio (sempre se la custode cè e apre il portone) sono lì che alzano appena la faccia. Sì, le soluzioni ci sarebbero.
«Basterebbe anche solo che lAler ritinteggiasse i palazzi di via Ucelli di Nemi e che, una volta sfrattati gli inquilini morosi, non facesse passare così tanto tempo prima di riassegnare gli appartamenti. Il degrado è anche questo» spiega Antonio Macchitella, 67 anni, 34 passati alla «Innocenti-Maserati» e storico presidente del comitato di Ponte Lambro, un gruppo di volontari che, autofinanziandosi, sono i soli a essere riusciti a fare qualcosa per questa zona.
«Una tra le più laboriose di Milano se consideriamo che, dal 1900 al 1992, è stata sede di ben 36 lavanderie dove erano impiegate 500 persone - ci spiega il dottor Marco Manca, titolare della farmacia di via Parea (4 rapine in sei anni). - Adesso di questi vecchi lavandai ce ne sono due, Giulio Besia e Giovanni Locati. A loro piacerebbe che si facesse un piccolo museo di quella vecchia e storica attività».
È vero: ci vorrebbe poco per uscire dallemarginazione, per fare un passo in avanti. E non vedere i citofoni di via Serrati sradicati solo perché, magari, qualcuno ha «osato» lamentarsi delle moto che scorrazzano sui marciapiedi davanti ai palazzi e che hanno già mandato qualcuno allospedale. «Lo sa che qui cè gente che ha avuto la figlia investita da qualche balordo della zona e non ha denunciato? - racconta Macchitella -. Si giustificano dicendo che stanno zitti perché qui, alla fine, ci devono vivere. Io faccio quel che posso. Ho persino fatto arrivare un medico condotto in più (prima ce nera uno solo)».
Il signor Cesare gestisce un bar-pasticceria in via Monte Oliveto, isola felice delle donne e di chi vuole star tranquillo.
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