"Porto le battaglie di Guerra e pace in un salotto teatrale"

Il regista Luca De Fusco all'Argentina di Roma con Tolstoj: "Assurdo ostracizzare la cultura russa"

"Porto le battaglie di Guerra e pace in un salotto teatrale"
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Un titolo, un mito. E il più colossale dei romanzi russi diventa teatro. Fino al 23 febbraio Guerra e pace di Lev Tolstoj è all'Argentina di Roma. A ridurre le millequattrocento pagine del capolavoro letterario in uno spettacolo di due ore e un quarto, è il regista (nonché direttore artistico del Teatro di Roma) Luca De Fusco. Già trasformata in opera, film, serie tv, perfino in fumetti, l'epopea napoleonica approda ora alle scene con tutto il suo immenso carico di umanità nella riduzione dello stesso De Fusco e di Gianni Garrera.

De Fusco, come le è venuto in mente di lanciarsi in una sfida simile?

«Ho sempre amato le riduzioni teatrali dei capolavori letterari. Mi affascina l'apparente impossibilità di ridurre le mille ambientazioni di un romanzo alla scena unica del teatro. A Guerra e pace pensai dopo l'invasione dell'Ucraina. Trovavo assurdo ostracizzare tutto ciò che era russo: una cosa è la politica, un'altra la cultura. Ma non c'è nessun accostamento con l'attualità: il teatro non è attuale; è eterno. Se poi lo spettatore troverà delle analogie, allora il teatro avrà svolto una delle sue funzioni fondamentali».

La mole del romanzo fa supporre uno spettacolo kolossal...

«Al contrario: ho fatto vari tagli - le digressioni sul lavoro dei contadini, ad esempio, che non interessano uno spettatore odierno - e saranno più affollate le scene nei salotti che quelle delle battaglie. Queste le vedremo in soggettiva: attraverso i personaggi che vi partecipano, il principe Andrej, Nikolaj Rostov».

I dialoghi? Le fluviali descrizioni?

«Rispetto alla riduzione che feci di Anna Karenina ho abbandonato la tecnica ronconiana di mettere in bocca ai personaggi i loro pensieri, o le descrizioni. Guerra e pace non è altrettanto introspettivo. Quello che qui conta è il rapporto fra la guerra e la pace; e questo viene sufficientemente fuori dalle azioni».

E le innumerevoli ambientazioni diverse? Come le ha risolte?

«Tutto si svolge in un grande stanzone, che potrebbe essere un interno aristocratico, ma anche un rudere, o un cortile. Dentro, o sul tulle che fa da quarta parete, vari video ci trasporteranno da un luogo all'altro».

I personaggi. Anch'essi innumerevoli, e umanamente giganteschi.

«Il più affascinante è Pierre, interpretato da Francesco Biscione. Trasparente eppure enigmatico. Un buono che ha grandi slanci etici e contemporaneamente fa cose da stupido, come andare a guardare la guerra quasi fosse uno spettacolo. Un santo o un imbecille, dunque? Poi il generale Kutuzov, Federico Vanni: orbo da un occhio, obeso, pigro. Eppure un genio, che sconfigge Napoleone solo con la tattica. E un personaggio centrale, Annette - Pamela Villoresi - che nel romanzo è poco più che una comparsa ma qui fa da osservatrice disincantata. Tutti gli altri sono giovani: perché questa è soprattutto una storia di giovani».

Il senso ultimo dello spettacolo?

«È nella battuta finale di Natascia, che in un primo momento doveva essere il titolo del romanzo: Tutto è bene quel che finisce bene.

Nonostante attorno a loro il mondo letteralmente crolli, i personaggi di Guerra e pace continuano a gioire o ad affliggersi, come nella vita di ogni giorno. Perché la vita è così. Perché nonostante i morti, i disastri, gli sconvolgimenti, nonostante tutto, la vita continua».

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