In Italia, ahimé, vince chi non paga. Chi ignora scadenze delle fatture, sollecitazioni e lettere dell'avvocato. Tanto la legge, sotto sotto, glielo consente: mai verrà perseguito penalmente (a meno che non si tratti di una vera truffa), mai verrà screditato pubblicamente. E prima che si proceda all'esecuzione forzata dei suoi beni, bisogna attraversare un labirinto burocratico talmente lento e intricato da scoraggiare anche il più scaltro degli avvocati e il più vendicativo dei creditori. Risultato: è come se fosse lo stesso sistema giudiziario ad ammiccare a chi non onora i debiti, in nome del vecchio detto che «per pagare e per morire c'è sempre tempo». Ad impossibilia nemo tenetur, dice la legge: nessuno è costretto a fare l'impossibile. Parole sacrosante. Peccato che tra le pieghe di questo principio ci sia lo spazio (abbondante) perché i furbi la facciano franca e studino escamotage di ogni tipo per non sganciare mezzo euro: per risultare nullatenenti anche quando non lo sono, per far sparire i soldi dal conto corrente anche quando ne hanno fin sopra le orecchie. E così si creano varie tipologie di habitué del debito. Ci sono le srl che chiudono, dicono di essere in liquidazione, simulano fallimenti o cambiano assetto societario pur di non pagare le fatture arretrate di collaboratori occasionali e fornitori. Ci sono gli inquilini che firmano contratti di affitto e poi non corrispondono le quote mensili per chissà quanto, forti del fatto che, prima di essere sbattuti fuori casa, ce ne vuole. Ci sono quelli che acquistano automobili e smettono di pagare dopo la terza rata. E quelli che mandano in fallimento le piccole aziende perché non pagano i beni acquistati o i servizi ricevuti. Magari si tratta di piccole cifre che tuttavia, sommate tutte assieme, sono un piccolo capitale per l'imprenditore che deve riscuotere e che si trova con i bilanci totalmente in rosso. Far valere i propri diritti di creditore per vie legali equivale a farsi venire la gastrite e a infilarsi in un'odissea tutt'altro che risolutiva. Innanzitutto perché spesso il giudice invita le due parti a una mediazione e a concordare una cifra inferiore a quella iniziale. Che significa, implicitamente, incoraggiare il debitore a non pagare per tempo e ad aspettare un accordo legale, garanzia di uno sconto. Mettiamo il caso che il creditore non accetti compromessi e si incaponisca con una causa vera e propria. Mettiamo pure il caso che la vinca. Nemmeno con una sentenza a favore riscuoterà con facilità i soldi e, beffa su beffa, vedrà impennare la parcella dell'avvocato ma diminuire il valore del credito tanto rincorso. Per di più c'è un ulteriore paradosso: più la cifra da riscuotere è bassa, più è impossibile da recuperare. Il motivo? Le spese legali rischiano di essere alte quanto il credito. Abbiamo ricostruito i costi di un ipotetico iter legale assieme ai professionisti di Avvocato Accanto di Milano, una squadra di legali che, tramite il portale www.avvocatoaccanto.com, dà a chiunque la possibilità di avere un primo orientamento legale gratuito, e si è fissata un principio di base: essere chiari subito sui costi e i tempi a cui va incontro chi vuole intentare una causa.
Per rendere i clienti consapevoli del fatto che, purtroppo, non sempre conviene rivendicare un proprio diritto. Per recuperare un credito fino a 5.200 euro, se ne spendono quasi 2mila tra parcella dell'avvocato e spese.
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