«Povero Comencini è una vergogna il film di sua figlia»

Cinzia Romani

da Roma

«Scusi, faccio zuppetta?», chiedeva Nanni Loy, il regista classe 1925 che, negli anni Settanta, importò da noi l’uso della candid camera. L’altro, quello del cappuccino al bar, alla richiesta trasecolava, ma intanto Nanni tuffava il suo cornetto nel caffellatte d’uno sconosciuto. Niente parolacce, coiti zero, ma solo facce buffe, stupore e finti tonti. A casa, guardavano nonni e ragazzini, scoprendo che una telecamera nascosta poteva farli ridere. Ora che neanche un commesso di salumeria sa vivere fuori dall’inquadratura; ora che mezzo mondo è guardone e l’altro mezzo gode, fingendo di esistere davanti all’obiettivo, ha uno strano sapore l’omaggio della Casa del Cinema a Nanni Loy, il cineasta cagliaritano morto dieci anni fa, più famoso per i suoi scherzi televisivi che non per i pur notevoli film Le quattro giornate di Napoli (1962), Detenuto in attesa di giudizio (1971) e Café Express (1980). Tra l’altro, il suo Mi manda Picone (1983), commedia sul dramma della raccomandazione, o lavoro nisba, è rimasto un modo di dire. A ricordare un’epoca meno incanaglita della presente, doveva esserci anche Mario Monicelli, vispo Maestro che non le manda a dire. L’invito ai «Nanni Loy Days», però, non gli è arrivato (colpa delle Poste?), così abbiamo il tempo d’una cavalcata sul tema: com’è cambiato l’uso della telecamera, ora che non si sta in pace neanche abbracciati alla ceramica? (Il Grande Fratello e la Grande Miss riprendono al bagno).
Caro Monicelli, a dieci anni dalla morte di Nanni Loy e mentre incombono i reality nostrani, della ripresa continua che resta?
«Una tivù corruttrice, che corrompe il mondo. E viene da lontano. Dal feticcio del tempo libero. Dalla pubblicità».
Ricorda com’era simpatico Loy, quando faceva zuppetta e la tivù mostrava lo sconcerto di gente ripresa al bar...
«Altri tempi! Era l’Italia che aveva ancora il senso della vita, dell’umanità, della dignità».
Ora, invece, com’è il nostro Paese?
«È l’Italia dell’Isola dei famosi e della Talpa, con gente dedita alla sopraffazione e alla sfacciataggine, che guadagna facendo cose indecenti».
Fosse vivo, Nanni Loy girerebbe un reality show?
«No: era persona perbene».
Le ragazze di Salsomaggiore hanno contestato la telecamera puntata 24 ore su di loro, riprese mentre si svegliavano. Non tutto è perduto...
«Lo spero. Ma non saprei: frequento solo persone ancora accettabili, vecchie come me. Che hanno rispetto di ciò che sono state, dei loro valori».
Che cosa non va, nel mondo dello spettacolo contemporaneo?
«Il continuo sghignazzare e sopraffare. Anche le donne dicono cose vergognose. In un talk show se la prendevano con uno, perché la moglie gli aveva messo le corna: lui se le “meritava”! Ma che messaggi veicolano?».
È sulle stesse posizioni di papa Ratzinger?
«Ho avuto un’educazione laica, non cattolica. Ma oggi la corruzione è così estesa, che laici e cattolici, se hanno valori condivisi, sostengono le stesse idee».
Sta lavorando, al momento?
«A Il deserto della Libia, film che ho tratto dall’omonimo romanzo del grande Mario Tobino. Con Michele Placido e un attore straniero. Racconterò dei nostri ragazzi smarriti in Africa, durante la guerra coloniale fascista. Ma mi scoraggiano. Dicono: è un film troppo italiano, non va».
Cos’è, allora, che va?
«Roba inventata sulla falsariga della pornocrazia. Colpi allo stomaco dello spettatore, di quelli dati da La bestia nel cuore. Se penso che l’ha girato la figlia di chi ha fatto Tutti a casa, il mio amico Luigi Comencini!».
Eppure Cristina Comencini ha trionfato a Venezia...
«Il suo film è indecente e vergognoso: questa è la verità.

Quelle case, non sono italiane. Quei rapporti, non sono tra noi. Ha successo perché si racconta d’una lesbica, che corrompe la donna normale; d’un padre, che è uno stupratore. Cose orrende, sulle quali Euripide scriveva tragedie».

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