Il precedente Quando il libro fu spacciato per thriller d’evasione

Ci sono guerriglieri comunisti, come Cesare Battisti, che nelle loro brevi prigioni e lunghe latitanze hanno scritto buoni libri gialli. Ci sono guerriglieri anarco-comunisti, come Sergio Segio, che nelle loro lunghe prigioni e vacue esistenze successive hanno scritto libri autobiografici, che vengono mimetizzati come fossero gialli. A uno di questi, Miccia corta di Segio (ed. Derive/Approdi) si ispira La prima linea, il film di Renato De Maria, con Riccardo Scamarcio, presentato un mese fa al Festival di Toronto e che il 20 novembre uscirà nei cinema italiani. Il film è di «interesse culturale nazionale», ma ancora a Toronto non aveva incassato la sovvenzione connessa a tale riconoscimento, perché la Direzione per la cinematografia aspettava di vedere il film, per verificare che la sceneggiatura fosse stata rispettata.
Saggia e rara cautela. Infatti, consapevoli che libri come questi sono acquistati dai nostalgici, i riguardi editoriali rendono eroi gli autori; quanto alla trama, le si dà una patina di opera di fantasia. Invece lo sono in minima parte. O non lo sono affatto.
La Rizzoli ha presentato così La Prima linea: «Un capitolo sanguinoso della storia italiana raccontato dalla linea del fuoco». E così s'è presentato Segio: «Nome di battaglia: comandante Sirio. Mito: Simon Wiesenthal». Che non a caso aveva scritto un libro, «Gli assassini sono fra noi».
E ancora, traendo sempre dalla presentazione: «Sergio Segio, come molti giovani, perde presto la fiducia in una sinistra parlamentare che ritiene imbelle e collusa con i poteri forti. E si volge alla lotta armata».

Fra tante autobiografie di assassini da pubblicare, c’è però anche un album di vittime da sfogliare. Per ricordare, ad esempio, che a Walter Tobagi del Corriere della Sera sparò alle spalle il figlio di un dirigente editoriale. Della Rizzoli.

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