"Processi sul nulla. Ormai è un simbolo della mala-giustizia che vince in Italia"

Il direttore dell'Unità: "Il bilancio alla fine è amaro. Berlusconi non ha fatto in tempo a vedersi dare ragione dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo"

"Processi sul nulla. Ormai è un simbolo della mala-giustizia che vince in Italia"
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Un racconto simbolico della giustizia italiana, un evento esemplare dei mali che affliggono il rapporto tra i poteri dello Stato: questa per Piero Sansonetti, direttore dell'Unità, la sintesi che si può fare della vicenda processuale e politica che per trent'anni ha avuto per protagonista Silvio Berlusconi.

Direttore, con la morte di Berlusconi si chiude uno scontro per il quale non ci sono paragoni della storia politica dell'Occidente. Quale bilancio ne possiamo trarre?

«Il bilancio alla fine è un bilancio amaro, perché Berlusconi purtroppo non ha fatto in tempo ad arrivare alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo che avrebbe sicuramente annullato anche l'unica condanna definitiva che gli è stata inflitta dalla giustizia italiana, ovvero quella per la vicenda dei diritti televisivi. Su cento processi, va ricordato, Berlusconi è stato assolto in novantanove. La Corte di Strasburgo, se avesse avuto tempi meno spropositati, non avrebbe fatto altro che annullare anche l'unica condanna».

Come fa ad esserne così sicuro?

«Perchè parliamo di un processo basato sul nulla. Venne condannato per evasione fiscale per fatti accaduti quando era presidente del Consiglio dei ministri e di quanto accadeva in azienda non si occupava più da anni. Nello stesso processo l'amministratore delegato dell'azienda venne assolto, questo per me significa che il reato semplicemente non era mai avvenuto, il reato non c'era».

Eppure la condanna di Berlusconi venne festeggiata nelle piazze e sulle chat delle correnti dei giudici. Non è un po' poco una condanna per un assedio durato trent'anni?

«Ovviamente sì, soprattutto se si pensa che la persecuzione giudiziaria ai danni di Berlusconi è stata portata avanti dalla magistratura, ed in particolare dalla procura di Milano, con un dispendio inimmaginabile di risorse umane, di soldi, di tempo e di sopraffazioni. La consolazione è che nonostante tutti questi investimenti il bilancio è a favore di Berlusconi, che dalla incalcolabile mole di processi intentati contro di lui è uscito solo con quella condanna insensata. Che però ha prodotto la conseguenza più disgustosa di tutte».

Di cosa parla?

«Del voto del Senato che decise l'estromissione di Berlusconi dopo il passaggio in giudicato della sentenza per i diritti tv. Quella per me fu una delle pagine più buie della nostra storia recente, la consacrazione della subalternità della politica allo strapotere della magistratura e in particolare delle Procure. La politica quel giorno si è plasticamente inginocchiata davanti al potere giudiziario, uno dei momenti peggiori dal 1945».

Qual è stato il movente reale dell'assalto giudiziario a Berlusconi?

«A partire dal 1993 la magistratura ha pensato di aumentare in maniera esponenziale il proprio dovere trasformando l'Italia in una repubblica giudiziaria. Si è trovata in mezzo alle gambe Berlusconi che non glielo permetteva e allora ha deciso di raderlo al suolo. Il movente era prendere il potere».

É anche una storia di collusioni tra

Procure e giudici.

«Nella fase iniziali dei processi sì, alla fine sono arrivate le assoluzioni quindi gli anticorpi funzionano. Ma solo se hai il potere economico e politico di Berlusconi. Io sarei rimasto stritolato»

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