Prodi il decisionista ancora in alto mare

Raffaela Scaglietta

da Roma

Dopo Srebrenica e il Ruanda nessun generale o vice vorrebbe ritrovarsi al comando di una missione Onu incerta, paralizzata da decisioni ambigue, per poi piangere immobile davanti alle stragi o vedere i caschi blu morire brutalmente. Quello che serve alla forza multilaterale destinata a dislocarsi a sud del fiume Litani, assieme alle forze regolari del governo di Beirut è un mandato chiaro, per tutti, con le regole d’ingaggio definite prima di partire. Ma in Italia questo dibattito cruciale sembra insabbiarsi in altri fondali. «Appena stabilite le regole d’ingaggio, faremo il necessario provvedimento legislativo, un decreto che porteremo immediatamente al Parlamento» ha detto ieri Romano Prodi per rassicurare l’Unione e i suoi dissidenti.
«Le domande alle quali stiamo lavorando in queste ore - ha aggiunto il ministro della Difesa Arturo Parisi - sono sul “come” della missione: sulla sua catena di comando, su un’interpretazione esatta del mandato, sulle connesse regole di ingaggio. Non penso che la domanda sul “se” della nostra partecipazione alla missione Onu in Libano possa avere una risposta diversa dal sì».
E mentre al Palazzo di vetro di New York proseguono le trattative per definire ruoli e regole militari, in Italia, incalzano domande sugli obiettivi e sui costi della partecipazione alla missione Onu. «Non è possibile fare pronostici sul numero e sul tipo di navi, né sugli impegni» ha aggiunto Romano Prodi da Castiglione della Pescaia. «Al momento - ha spiegato il premier - non sappiamo ancora il numero di partecipanti, figuriamoci se possiamo definire la nostra forza».
«Questa forza deve essere di interposizione e di pace, ovviamente sotto l’egida dell’Onu e deve svolgere un’azione di tutela dei confini e della popolazione civile e non svolgere un ruolo militare: questo mi sembra un punto su cui possiamo trovare l’intesa» ha avvertito Claudio Grassi, senatore di Rifondazione Comunista, uno dei dissidenti del governo Prodi che fu contrario al rifinanziamento delle missioni italiane all’estero. «I soldi - ha detto invece Bonelli - capogruppo dei Verdi - non devono essere stornati dalle spese sociali, su questo noi saremmo certamente contrari».
«C’è bisogno di una discussione politica che produca un documento articolato. Così com’è la missione continua a non convincere » ha rincarato la dose Salvatore Cannavò, deputato di Rifondazione, anche lui tra i leader dei dissidenti pacifisti dell’Unione che hanno dato battaglia sul fronte delle missioni militari.
«L’autodifesa va garantita - spiega invece Clemente Mastella - perché se ci attaccheranno dovremo poter sparare. Le regole vanno definite con nettezza.

Gli hezbollah sono una realtà ma non hanno motivo di aprire il fuoco contro di noi. Ove ci fosse qualche cecchino - continua il leader dell’Udeur - non è che dovremmo far finta di nulla. Ci vuole una giusta determinazione».

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